Caro Zibaldone, ora son due anni e splendeva un sole quasi estivo: ad un tempo un soffio ed un'era geologica nella concentrazione del ricordo che mi sono prefisso di tenere desto. Il suo nome era Gianmatteo SILEONI, classe 1977, e, nello stuolo dei praticanti che popolano caoticamente e disperatamente i Palazzi di Giustizia, mi, ci (con mia moglie) aveva colpito per serietà e diligenza. Una generazione professionale di differenza, mi dava del lei. Umile. La nostra è l'epoca, per dirla con Mario VARGAS LLOSA, della "banalizzazione: ha delle conseguenze non solo nel campo della cultura, ma in tutti gli altri. Per questo mi riferisco alla politica, alla vita sessuale, ai rapporti umani". La definisce "banalizzazione permanente", un "oscurantismo bugiardo". Matteo era, invece, attento a recepire un rito, sacerdotale o teatrale, qual è il processo in Italia, oscuro per chi è agli esorbi. Amava le arti marziali, mi confidò, il kung-fu in particolare. E lo sport, il calcio. Aveva forti ideali ed una vocazione per i rapporti umani e leali. Passavano i mesi ed "il nostro dottor Sileoni" era assai promettente ed io, quando potevo, lo aiutavo per quelle cosucce d'udienza, agevolandolo in quelle malizie d'esperienza marpiona.
Ad un tratto mi accorsi che le sue venute in tribunale si erano diradate. Lo pensai immerso nello studio e nel lavoro a tavolino: aveva subito un torto agli esami di avvocato. Poi, un brutto giorno comparve calvo e provato. Sofferente. Un tuffo al cuore. Stava male, molto, era purtroppo evidente. A gennaio 2010 gli mandai una mail di incoraggiamento. Mi rispose subito e con entusiasmo, il suo tipico: "Salve Avvocato, che sorpresa ...Grazie mille per il vostro pensiero e per l'incoraggiamento ...di forza ne metto davvero molta, comunque spero di tornare presto nelle aule di Tribunale e ci sarò sicuramente in grande spolvero :-) Vi saluto. A presto Matteo". Ripenso spesso con tenerezza infinita a quel ragazzone imponente - sportivo - avvocato - ai miei occhi cucciolo: un paio di anni fa se n'è andato lasciando sconsolati i suoi cari, la fidanzata Lucia, i moltissimi amici; ripenso alla mamma ed al fratello del negozio di tessuti di famiglia ove avevamo avuto una gran bella conversazione sui fatti e sui misfatti dell'ambiente leguleio. In tutti noi mestieranti forensi ha lasciato un senso di vuoto, per quel che poteva essere e non è stato. Come quegli sportivi che, non si sa per quale atroce disegno del fato, se ne vanno giovani e, a tacer dello sgomento umano, non riesci a contenere il rammarico per quel che avrebbero potuto dare.
Ma, per quanto potrò, non disperderò il suo ricordo nella routine delle cose quotidiane, quel sacrilegio dell'oblio che compiamo spensieratamente anche verso i nostri più cari che ci hanno lasciato, che si sono avviati. Che la terra Ti sia lieve, caro Matteo. Te lo direbbe anche Gianni Mura, grand'uomo di sport, se avesse avuto il privilegio raro di conoscerTi.
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