Una decisione della Corte di Cassazione in tema di usucapione nell'ambito della comunione ereditaria: con la sentenza n. 14467 depositata il 30 giugno scorso, la seconda sezione civile del Palazzaccio ha stabilito che il coerede usucapisce, ex art. 1158 c.c., gli altri beni del de cuius se prova in giudizio di atteggiarsi a proprietario esclusivo. Non è infatti sufficiente solo il mero disinteresse degli altri coeredi ma è necessario il manifestarsi dell'animus possidendi in termini di "esclusività" e non di comproprietà. Secondo il giudizio dei giudici di legittmità trasfuso nelle dieci pagine di motivazione, il coerede è a un tempo comproprietario e compossessore dei cespiti ereditati e, pertanto, risulta perfettamente in grado di usucapirne l'intero a seguito del possesso ventennale, pacifico, non violento ed ininterrotto. Affinchè il coerede usucapisca l'intero, hanno precisato i giudici di ultima istanza, "è necessario non solo il "disinteresse" degli altri coeredi al possesso della cosa, quanto e soprattutto "l'estensione del possesso" da parte del coerede, ossia il manifestarsi del suo animus possidendi in termini di esclusività, ergo di proprietà
e non già di comproprietà. Il coerede, in sostanza, che è già compossessore "animo proprio" ed a titolo di comproprietà, non è tenuto ad un mutamento del titolo, ma solo ad una estensione dei limiti del suo possesso. Il coerede, nel possesso del bene ereditario comune ad altri eredi, per acquistare il bene posseduto non pertanto ha bisogno di alcuna interversione: ciò che conta è esclusivamente l'animus possidendi, il quale, lungi dal trasformare il detentore in possessore, comporta invece la mutazione "qualitativa" di un possesso che già si manifestava in termini proprietari, pur nell'ambito di una comunione".
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