Con la sentenza n. 8318, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha stabilito che i comuni sforniti di impianto di depurazione non possono richiedere la tariffa per il servizio di depurazione. In particolare, la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dalla Fondazione Irccs Istituto Nazionale Tumori, la quale presentava ricorso per accertare l'illegittimità della richiesta del pagamento della tariffa per il canone di depurazione, pur essendo il Comune sfornito dell'impianto. "L'utente - ha stabilito la Corte nel caso di specie - può agire contro l'inerzia dell'amministrazione nella realizzazione dei depuratori, non già in forza del rapporto contrattuale di utenza utilizzando gli ordinari strumenti civilistici di tutela, ma solo esercitando il generale potere di denuncia attribuitogli dall'ordinamento "uti civis". Contrariamente a quanto stabilito dalla Corte di Appello di Milano che aveva interpretato l'art. 14 della legge 36/94, spiegando che vi fosse l'obbligo di pagamento del corrispettivo per la depurazione delle acque anche in assenza di un qualsiasi servizio di depurazione, la Corte di Cassazione, ha invece stabilito che "a fronte del pagamento della tariffa, l'utente riceve un complesso di prestazioni consistenti, sia nella somministrazione della risorsa idrica, sia nella fornitura dei servizi di fognatura e depurazione", pertanto la tariffa del servizio idrico si legittima non come "atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell'utente, bensì nel contratto
di utenza". Se il servizio non esiste, pertanto, non sarebbe quindi legittimo pagare il relativo canone. La Cassazione, accogliendo il ricorso della Fondazione, ha poi concluso precisando che le sentenze di questo tipo possono essere fatte valere, per la prima volta, anche in sede di legittimità.

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