Per il CNF merita la sanzione più grave l'avvocato che si ostina ad attribuire comportamenti scorrenti agli altri e non riconosce i propri

di Lucia Izzo - Il comportamento dell'incolpato che misconosca ostinatamente la rilevanza disciplinare del proprio comportamento, seppur acclarato da evidenze probatorie, è indice della propria inadeguatezza a recepire correttamente i canoni deontologici e la loro portata, sicché può rilevare ai fini dell'aggravamento della sanzione.


Lo ha precisato il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 77/2017 (qui sotto allegata) pubblicata sul sito istituzionale nei giorni scorsi.


L'avvocato era incolpato dal competente COA "per essere venuto meno ai doveri di lealtà e correttezza", in quanto aveva promosso azione giudiziaria nei confronti di un collega per la restituzione di una somma di denaro, senza dargliene preventiva comunicazione.


L'avvocato si difende sostenendo che il suo comportamento era stato determinato dall'atteggiamento tenuto dal collega, nei confronti del quale egli aveva presentato numerosi esposti al COA, avendolo anche ripetutamente avvisato che nei suoi confronti avrebbe adito ogni autorità; così che il Collega sarebbe stato sostanzialmente informato della sua iniziativa.

Rapporto di colleganza: i tre requisiti dell'obbligo di preventiva comunicazione

Per il CNF, tuttavia, il ricorso appare infondato. I giudici richiamano quanto previsto dal codice deontologico, ora art. 38, secondo cui "L'avvocato che intenda promuovere un giudizio nei confronti di un collega per fatti attinenti all'esercizio della professione deve dargliene preventiva comunicazione per iscritto, salvo che l'avviso possa pregiudicare il diritto da tutelare".


Tale obbligo è soddisfatto, spiega il Consiglio, se concorrono tre requisiti: quello formale, consistente nell'adozione dello scritto quale veicolo della comunicazione; quello sostanziale, consistente nel rendere chiara l'intenzione di chi comunica che agirà in giudizio; l'ultimo, anch'esso di carattere sostanziale, consistente nel palesare la ragione dell'iniziativa.


Nel caso in esame le comunicazioni che l'incolpato ha effettuato al COA, integranti la richiesta di procedere disciplinarmente nei confronti del collega, non integrano in alcun modo i requisiti sopra riportati. Ne consegue violazione effettiva del precetto deontologico.

Sanzione più grave all'avvocato che misconosce la propria scorrettezza

I giudici colgono l'occasione anche per pronunciarsi sulla sanzione che il COA territoriale ha irrogato nei confronti dell'avvocato incolpato della violazione del precetto deontologico relativo alla preventiva comunicazione per iscritto laddove si intenda agire giudizialmente nel confronti del collega.


Il Consiglio conferma la sanzione della censura, ancorché il comma 4 dell'art. 38 del nuovo Codice Deontologico Forense preveda quale pena edittale per la summenzionata violazione quella più lieve dell'avvertimento.


La scelta di confermare la sanzione più grave, spiega il provvedimento, è giustificata dall'insistenza con cui, anche in fase di impugnazione, l'incolpato si ostina ad attribuire comportamenti scorretti all'esponente, senza rilevare i propri.


Un simile atteggiamento, infatti, è da considerarsi sicuro indice della inadeguatezza del professionista a recepire correttamente i canoni deontologici e la loro portata. Circostanza che giustifica, pertanto, l'applicazione di una sanzione più grave.

Consiglio Nazionale Forense, sent. 77/2017

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