La Cassazione conferma la condanna per una dipendente comunale che ha falsificato la notifica di ricezione di una mail

di Lucia Izzo - Rischia il carcere chi falsifica le mail oppure l'avvenuta ricezione. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, V sezione penale, nella sentenza n. 39768/2017 con cui ha confermato la condanna a otto mesi di reclusione, sospesi con la condizionale, a una donna che aveva falsificato la notifica di ricezione di una mail.


In particolare, l'imputata era stata condannata ex art. 617-sexies c.p. (Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche) poichè, in quanto dipendente comunale, aveva formato falsamente e inviato alla persona interessata, facendone così uso, la notifica di avvenuta lettura della e-mail di convocazione, in realtà mai pervenuta alla stessa, per un colloquio per il posto di agente di Polizia Municipale.


Tutto questo allo scopo di occultare la propria responsabilità relativamente all'invio di tale comunicazione all'indirizzo e-mail errato, errore che aveva determinato l'esclusione della concorsista dalla graduatoria.

Rischia la reclusione chi falsifica o altera le email

La condotta del delitto punito dall'art. 617-sexies c.p., precisano i giudici, consiste nel formare, falsamente, in tutto o in parte, il testo di una comunicazione informatica o telematica, ovvero nell'alterare, sopprimere, in tutto o in parte, il contenuto di una comunicazione informatica o telematica vera, anche se solo occasionalmente intercettata, allo scopo di procurarsi un vantaggio o di arrecare ad altri un danno.


Il reato, pur inserito nel corpo della sezione dedicata ai delitti contro l'inviolabilità dei segreti, delinea una particolare figura di falso, caratterizzata in ragione del suo oggetto: il dolo richiesto per l'ipotesi delittuosa in esame è specifico e consiste infatti nella coscienza e volontà di procurarsi direttamente o indirettamente un vantaggio, non necessariamente di carattere patrimoniale, o di recare ad altri un danno.


Deve poi essere oggettivamente riscontrabile, in conseguenza dell'azione del soggetto agente, la materiale alterazione o soppressione dell'informazione attinta. Occorre infine che dell'alterazione compiuta l'agente abbia fatto uso o abbia semplicemente tollerato un uso a opera di altri; deve quindi esservi stata consapevolezza della diffusione esterna di una rappresentazione informativa non genuina o non corrispondente a verità.


Inutile per la ricorrente insistere sulla mancanza del "corpo del reato" (che avrebbe potuto essere solo un documento informatico) e sulla mancata ispezione tecnica e verifica peritale dei personal computer sia della denunciante, sia della denunciata, senza la quale non avrebbe potuto ritrarsi alcuna certezza circa la pretesa falsificazione informatica.


La prova della falsificazione del documento informatico, prosegue il provvedimento, può essere ricavata da un esame tecnico diretto delle memorie dei due computer interessati e tuttavia può essere raggiunta, in modo convincente e oltre ogni ragionevole dubbio, anche sulla base di elementi probatori differenti da una perizia tecnica, che dimostrino in modo certo l'avvenuta alterazione.


Nella fattispecie gli elementi di prova raccolti e analizzati confortavano comunque, al di là del ragionevole dubbio, la ritenuta sussistenza della falsificazione, pertanto è legittima la condanna della donna posto che la cornice edittale prevista dalla norma punisce il colpevole con la reclusione da uno a quattro anni.


Foto: 123rf.com
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: