Per la Corte d'appello di Taranto, se si ritenesse il contrario si violerebbe il principio fondamentale del nemo tenetur se detegere

di Valeria Zeppilli - Se il teste rende false dichiarazioni in un procedimento instauratosi a seguito di una denuncia dallo stesso sporta e poi rivelatasi calunniosa non può essere condannato per falsa testimonianza.

Almeno questo è quanto emerge dalla sentenza numero 163/2017 della Corte d'appello di Taranto (qui sotto allegata), che ha ritenuto che in casi del genere è integrata la scriminante di cui all'articolo 384 del codice penale.

Non punibilità

Ai sensi di questa norma, infatti, non deve ritenersi punibile chi rende una falsa testimonianza al fine di sottrarsi dal pericolo di un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore. E tale è il rischio di essere incriminato per il reato di calunnia precedentemente commesso.

In altre parole, non ha alcuna rilevanza penale la circostanza che un soggetto, chiamato a testimoniare in un procedimento originatosi da una denuncia che lui stesso ha sporto e che poi si è rivelata calunniosa, renda false dichiarazioni durante l'audizione.

Per i giudici, inoltre, ai fini dell'applicazione della scriminante in parola a nulla rileva la circostanza che al momento della deposizione non sussistevano ancora indizi di reità in ordine a un simile reato.

Nemo tenetur se detegere

Come sottolineato dalla Corte d'appello di Taranto, se si ritenesse diversamente e si reputasse che il teste in simili ipotesi sia punibile per falsa testimonianza

, si violerebbe il principio fondamentale del nemo tenetur se detegere, in quanto si costringerebbe un soggetto che ha formulato una falsa accusa a confessare la calunnia commessa nel momento in cui viene chiamato a deporre come teste nel processo a carico dell'imputato.

In conclusione, quindi, in casi come questi "il persistere nel mendacio non può essere sanzionato penalmente".

Corte d'appello di Taranto testo sentenza numero 163/2017
Vedi anche:
Il reato di calunnia
Valeria Zeppilli

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