Cessione ed utilizzo del marchio

Avv. Giampaolo Morini - La risoluzione n.5/e del 10/01/2002 dell'Agenzia delle Entrate stabilisce che i corrispettivi percepiti a seguito della sottoscrizione di un contratto di licenza di brevetto e di know-how non devono essere considerati quali proventi percepiti a fronte di un contratto di durata e pertanto la tassazione non può essere ripartita nei vari anni di applicazione del contratto. L'Agenzia delle entrate interviene con la risoluzione n.5/e del 10 Gennaio 2002 a fissare un importante principio in materia di tassazione di Royalties derivanti da un contratto di licenza di brevetto e di know-how.

La tassazione delle royalties

Secondo l'Agenzia delle entrate infatti le prestazioni relative alla concessione di licenza di brevetto e di know-how, consistenti nella costituzione di un diritto di godimento su di un bene immateriale con durata estesa fino al termine di durata del brevetto insieme alla comunicazione delle conoscenze tecniche segrete necessarie per il suo sfruttamento economico (know-how), si devono considerare ultimate nel momento di sottoscrizione del contratto

. La decisione è stata pronunciata in seguito ad esplicita richiesta formulata da una società italiana titolare di un brevetto che tutela un prodotto farmaceutico e in possesso del know-how necessario per la sua realizzazione che aveva stipulato con un'impresa inglese un contratto che prevedeva la concessione di una licenza, non trasferibile a terzi e per un determinato periodo di tempo, per l'utilizzo del brevetto e del know-how al fine di fabbricare e commercializzare il prodotto in determinati Stati. Il contratto prevedeva che il licenziatario corrispondesse al licenziante sia importi in misura fissa, sia percentuali sui ricavi ottenuti dalla commercializzazione del prodotto ottenuto.

Il contratto

prevedeva che il pagamento delle royalties in misura fissa dovesse essere effettuato in tre distinti momenti coincidenti con la sottoscrizione del contratto, il deposito della richiesta per l'ottenimento della registrazione. Tenendo presente che il contratto aveva una durata di dieci anni a partire dalla data di stipulazione, la società italiana licenziante chiedeva all'Agenzia delle entrate di pronunciarsi in merito alla corretta imputazione a periodo di imposta dei corrispettivi il cui pagamento avveniva al momento della stipulazione e del deposito per la registrazione ritenendo che il contratto di licenza potesse considerarsi come una prestazione di servizi avente carattere di durata. L'art. 75, secondo comma, lettera b del d.p.r. n.917/1986 stabilisce che i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate, ovvero, per quelle dipendenti da contratti di locazione, mutuo, assicurazione e altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici, alla data di maturazione dei corrispettivi. In altri termini, il legislatore ha previsto, con riguardo alle prestazioni di servizi, due differenti metodi di individuazione dell'esercizio di competenza: il primo con riferimento ai servizi derivanti da contratti a prestazione istantanea e il secondo invece relativamente ai servizi derivanti da contratti inquadrabili fra quelli di durata o ad esecuzione continuata e periodica. I ricavi connessi alle prestazioni di servizi sono imputabili, per quel che riguarda le prestazioni di servizi istantanee, non appena la prestazione è ultimata, mentre quelli relativi a servizi a prestazioni continuate sono imputabili pro quota per tutto il tempo di durata del contratto, cioè deve essere determinata la quota di competenza dei ricavi secondo il criterio del prorata temporis. Secondo l'Agenzia delle entrate invece le prestazioni relative alla licenza di brevetto e di know-how devono essere considerate come prestazioni di servizi ultimate al momento della sottoscrizione del contratto anche se produrranno i loro effetti dal punto di vista economico per tutto il tempo di durata del contratto di licenza. Non si applica quindi lo schema dei contratti di durata, in cui la maturazione del diritto al corrispettivo è proporzionale al trascorrere del tempo, ma l'importo corrisposto alla firma del contratto e non connesso ai volumi di vendita deve essere considerato tutto ricavo dell'esercizio.

Cessione e utilizzo del marchio

Anzitutto si può disporre solamente dei diritti di cui si è titolari, tuttavia l'uso del marchio può divenire legittimo nei casi stabiliti dalla legge. L'art. 2573 c.c., che disciplina il trasferimento del marchio, va integrato con l'art. 15 l. marchi, entrambi modificati dal d.lg. 4.12.1992, n. 480. Il d.lg. 4.12.1992, n. 480 ha eliminato i vincoli al trasferimento del marchio previsti dalla previgente disciplina e riguardanti l'obbligo che la cessione fosse accompagnata dal trasferimento dell'azienda o di un suo ramo e che la cessione fosse avvenuta solo a titolo esclusivo.

Trasferimento e licenza del marchio non identificano tipi contrattuali, ma schemi attributivi che si differenziano solo perché il secondo implica il mantenimento in capo al disponente (licenziante) della titolarità del diritto concesso in godimento temporaneo (esclusivo o non) ad altri (licenziatario). L'art. 15 l. marchi in tema di trasferimento si applica a tutte le vicende contrattuali e non che possono determinare il definitivo passaggio della titolarità del diritto di marchio da un soggetto all'altro. La disciplina delle licenze si applica ai contratti con cui il titolare costituisce un diritto di godimento temporaneo in favore di terzi, qualunque ne sia la causa di scambio.

Con la riforma della legge marchi il marchio può essere trasferito per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato, con la conseguenza che potranno coesistere marchi identici per prodotti diversi. L'unico limite è costituito dal fatto che dal trasferimento o dalla concessione in licenza del marchio non deve derivare inganno per i consumatori.

L'attuale normativa, secondo un recente orientamento dottrinale, consente al titolare del marchio di sfruttare tutte le sue potenzialità, cedendolo anche per settori in cui egli, non avendo svolto alcuna attività imprenditoriale, non ha nulla da trasmettere al cessionario, neppure sul piano delle mere conoscenze.

Secondo la giurisprudenza formatasi nel sistema normativo previgente, la presunzione di trasferimento del marchio unitamente all'azienda prevista dall'art. 2573, 2° co., non opera quando l'azienda sia cessata, non essendo quindi configurabile alcun trasferimento d'azienda (C. 4036/95); si ha invece valido trasferimento del marchio, anche in assenza di una contestuale cessione dell'azienda o suo ramo, allorché il cedente non abbia mai fatto uso di quel marchio per il fatto di non aver mai fabbricato o messo in commercio i prodotti da esso contrassegnati (C. 9404/87).

Dalla nullità del marchio ex art. 22 l. marchi discende la nullità del contratto con cui lo stesso viene trasferito, per l'originaria mancanza dell'oggetto (T. Milano 28.9.95) e l'onere di provare la nullità della cessione del marchio incombe al terzo che l'afferma (C. 2578/95).

Per quanto riguarda la forma della cessione si ritiene che il trasferimento del marchio non richieda forme speciali e sia opponibile dal cessionario a terzi pretesi contraffattori anche in assenza di trascrizione (T. Perugia 24.7.95).

Non viola l'art. 2573 e 15 l. marchi la cessione, oltrechè dell'uso esclusivo del marchio, del diritto di fabbricare e vendere in esclusiva il corrispondente prodotto, nonché dei particolari elementi eventualmente indispensabili per la realizzazione del prodotto medesimo(C. 1424/00).

La validità del trasferimento del diritto di marchio non è soggetta all'osservanza di requisiti di forma. Tale principio, non contestato prima della riforma, non è stato scalfito dall'introduzione della regola della cessione libera. La forma ad substantiam è richiesta solo quando è imposta dal particolare modo con cui si realizza il trasferimento (ad es., la cessione del marchio tramite donazione richiede l'atto pubblico ex art. 782) (Marasà, 123).

Tuttavia la forma costituisce un presupposto per soddisfare la pubblicità del trasferimento, giusto quanto prevede l'art. 50, 2° co., l. marchi, il quale subordina la trascrizione del marchio all'allegazione di copia autentica dell'atto pubblico o di copia autentica della scrittura privata autenticata (Cavani, 3 ss.).

Secondo l'art. 49 l. marchi debbono essere trascritti presso l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi gli atti che costituiscono, modificano o trasferiscono diritti personali o reali di godimento o di garanzia sui marchi registrati, le relative domande giudiziali e le sentenze.

Anche i contratti di licenza sono assoggettati a trascrizione, come già riteneva la giurisprudenza formatasi prima dell'entrata in vigore del d.lg. 4.12.1992, n. 480.

La trascrizione, come stabilisce l'art. 51 l. marchi, ha efficacia meramente dichiarativa, in quanto non condiziona la validità degli atti da trascrivere, bensì si limita a rendere opponibili a terzi aventi diritto sul marchio gli atti da trascrivere, nonché a costituire un criterio di preferenza fra due aventi causa dal medesimo dante causa.

In difetto di trascrizione della domanda giudiziale, l'eventuale dichiarazione di nullità o inefficacia di un accordo avente ad oggetto la disposizione del diritto sul marchio non pregiudica i diritti acquistati da terzi in base ad un atto trascritto anteriormente (T. Torino 29.3.96).

La trascrizione degli atti che trasferiscono i diritti sui marchi ha solo la funzione di dirimere il conflitto fra più parti che vantano diritti sulla medesima privativa, cosicché la cessione del marchio, anche se non trascritta, è pienamente rilevante rispetto ai terzi (T. Roma 4.10.94).

L'opponibilità del trasferimento del marchio al fallimento della società cedente è subordinata alla trascrizione dell'atto di cessione in data anteriore alla dichiarazione di fallimento (T. Torino 27.2.92).

L'art. 15, 2° co., l. marchi, prevede la possibilità che il marchio possa costituire oggetto di licenze esclusive e non esclusive, per la totalità o per parte dei prodotti e servizi per i quali il marchio è registrato e per la totalità o per parte del territorio dello Stato o della Comunità.

La licenza non esclusiva si ha soltanto quando sia concessa ad una pluralità di soggetti una licenza di marchio in relazione agli stessi prodotti ovvero quando il concedente dia licenza del marchio ad un terzo per determinati prodotti e conservi per sé il diritto di adoperarlo per gli stessi prodotti Nel caso di licenza non esclusiva sussiste l'obbligo a carico del licenziatario di uniformare la propria a quella degli altri licenziatari.

Secondo un indirizzo dottrinale in caso di violazione del contratto di licenza, il titolare del marchio potrà agire non solo in base alle regole che disciplinano il rapporto obbligatorio, ma anche per contraffazione del marchio.

Dal trasferimento e dalla licenza di marchio, come prescrivono l'art. 2573 e l'art. 15, 4° co., l. marchi, non deve derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico.

Chi eccepisce di avere utilizzato il marchio con il consenso del titolare nel quadro di un complesso rapporto di collaborazione commerciale in guisa tale da rendere configurabile una vera e propria licenza del marchio e ciò per paralizzare l'azione di contraffazione, deve fornire la prova del suo assunto (T. Torino 30.10.96). Il fatto che un marchio sia intestato al legale rappresentante di una società, ma goduto da quest'ultima, costituisce un indizio sufficiente a ritenere che tra titolare e società esista quantomeno una licenza implicita a favore della seconda (T. Milano 24.1.94).

Il trasferimento del marchio in licenza commerciale comporta, nel territorio nazionale, il trasferimento di tutti i poteri inerenti ad un diritto assoluto, opponibile erga omnes, per cui si deve escludere che altri - compreso lo stesso cedente - possa servirsi, nel territorio riservato al cessionario, dello stesso marchio per distinguere prodotti nella stessa categoria (P. Milano 8.8.91).



Avv. Giampaolo Morini

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