Per il Tribunale di Napoli il cognome è bene morale della persona e, dichiarata la paternità dopo il riconoscimento della madre, quello del padre va assegnato solo se si rispetta il diritto a essere se stesso

di Lucia Izzo - Il cognome, come parte del nome, è sempre meno strumento di ordine pubblico e sempre più bene morale della persona, rappresentando elemento costitutivo dell'identità personale e quindi oggetto di un vero e proprio diritto tutelato a livello costituzionale.


Pertanto, il giudice di merito, laddove dichiari la paternità di un minorenne successivamente al riconoscimento da parte della madre, dovrà prescindere da qualsiasi meccanismo automatico di attribuzione del cognome e valutare, invece, l'esclusivo interesse del minore alla sua identità personale.

Lo ha stabilito il Tribunale di Napoli, con la sentenza 3583/2017 (qui sotto allegata) pronunciandosi su una vicenda di dichiarazione giudiziale di paternità, richiesta dalla madre nei confronti del presunto padre della figlia minorenne.


I giudici partenopei accolgono la domanda per due ordini di ragioni: in primis, l'esistenza di una relazione sentimentale tra le parti non era stata contestata e, in secondo luogo, l'uomo si era rifiutato di sottoporsi al test del DNA, circostanza che costituisce argomento di prova poiché l'esame avrebbe consentito di accertare con ampi margini di sicurezza la filiazione.


I giudici rammentano l'orientamento della Cassazione, secondo cui, in tale materia, il principio della libertà di prova, sancito dall'art. 269, comma 2, c.c., non tollera surrettizie limitazioni, né mediante la fissazione di una sorta di gerarchia assiologica tra i mezzi di prova atti a dimostrare la paternità o la maternità naturali, né, conseguentemente, mediante l'imposizione al giudice di una sorta di "ordine cronologico" nella loro ammissione e assunzione a seconda del tipo di prova dedotto. Tutti i mezzi di prova, infatti, hanno pari valore per espressa disposizione di legge.

Attribuzione del cognome nell'interesse del minore

Quanto al cognome che la minore assumerà, il Tribunale condivide il principio interpretativo della Cassazione secondo cui, quando la filiazione naturale nei confronti del padre sia accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, al fine di decidere se attribuire al figli il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre il giudice deve tutelare ex art. 262 c.c. l'esclusivo interesse del minore.


Bisogna tener conto, prosegue la sentenza, del fatto che è in gioco oltre all'appartenenza del minore a una determinata famiglia, il suo diritto all'identità personale maturata nell'ambiente in cui egli è vissuto fino a quel momento, ossia il diritto del minore a essere se stesso, del trascorrere del tempo e delle vicende attinenti alla sua condizione personale e prescindendo anche da tutela dell'uguaglianza tra i genitori da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome.


Pertanto, è legittima l'attribuzione al minore del cognome del padre, aggiunto a quello della madre, ancorché il giudice del merito, da un lato, escluda la configurabilità di qualsivoglia pregiudizio derivante da tale modificazione accrescitiva del cognome (stante l'assenza di una cattiva reputazione del padre e anche di fatto di una relazione interpersonale tra padre e figlia) e, dall'altro, consideri che non versando ancora nella fase adolescenziale o preadolescenziale il minore, tuttora bambino, non abbia ancora acquisito, con il matronimico, una definitiva e formata identità nella trama dei suoi rapporti personali e sociali che quindi sconsiglierebbe l'aggiunta del patronimico.


Nel caso in esame, considerata proprio l'età della minore, il Tribunale di Napoli dispone che al cognome materno venga aggiunto quello paterno, posticipandolo.

Tribunale di Napoli, sent. 3583/2017

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