La Cassazione, ord. 4-7-2017, n. 16467, afferma che l'espressa istanza di parte non è surrogabile dal potere dispositivo del giudice di merito
di Paolo M. Storani - La recente ordinanza n. 16467 del 4 luglio 2017 della Cassazione civile, Sez. 6-3, sotto la presidenza di Adelaide Amendola, frutto della penna di Stefano Olivieri, appunta l'attenzione dei lettori di LIA Law In Action su una problematica molto più frequente di quel che si presupporrebbe prima facie.

Era accaduto che la Corte d'Appello di Napoli, nell'applicare il secondo comma dell'art. 2054 c.c., aveva reputato ammissibile la produzione documentale tardiva di Generali Italia S.p.A., già Assitalia S.p.A., quale impresa designata alla gestione dei sinistri in carico al Fondo di Garanzia per la Campania, disattendendo, di conseguenza, il motivo di appello dell'attore, un ciclomotorista; la Corte distrettuale partenopea aveva, infatti, ritenuto inattendibili i testimoni indotti dall'attore ed escussi dal tribunale e rigettato il motivo di gravame del medesimo attore, divenuto ricorrente, volto a far valere la nullità processuale in cui era incappato il primo giudice, che aveva rimesso in termini la società assicurativa, benché avesse prodotto il dossier integrale del procedimento penale soltanto all'udienza di precisazione delle conclusioni.

Il processo viene rimesso ad altra Sezione della Corte d'Appello di Napoli affinché valuti i motivi di gravame ritenuti assorbiti nella precedente statuizione, relativi alla verifica dei presupposti legali per dar corso alla rimessione in termini, già disposta dal (non specificato nell'ordinanza della S.C.) tribunale campano.

Il provvedimento, nel cui testo si fa riferimento ai fondamentali artt. 184 e 184-bis c.p.c. in rapporto alla loro vigenza ratione temporis, è interamente consultabile qui in calce in allegato, nella versione originale che abbiamo ricavato dal portale della Suprema Corte di Cassazione, in occasione dell'odierna consultazione.

La nota di commento che segue è opera della Collega Zulay Manganaro Menotti, di cui ricordiamo il recente contributo "Decreto ingiuntivo: i requisiti per l'opposizione tardiva" (27 luglio 2017), leggibile su queste stesse colonne, e che ringraziamo sentitamente per il nuovo invio.

Buona lettura ai nostri affezionati internauti!


Le massime di LIA Law in Action

La rimessione in termini per il compimento di attività processuali in ordine alle quali la parte è decaduta per causa a sé non imputabile presuppone a) l'espressa istanza dell'interessato - non essendo surrogabile dal giudice di merito l'esercizio del potere dispositivo riservato alla parte processuale - e b) l'accertamento della condotta incolpevole tenuta dalla parte, da compiere secondo le modalità del procedimento previste dall'art. 294 c.p.c.

(Cass. civ., Sez. 6-3, ord. 4 luglio 2017, n. 16467, Pres. Amendola, Rel. Olivieri)

Nota dell'Avv. Zulay Manganaro Menotti

L'ordinanza 4 luglio 2017, n. 16467 pone due presupposti alla richiesta di rimessione in termini: il primo è un'istanza della parte che sia decaduta dal compimento (tempestivo) dell'attività processuale entro il termine previsto per causa ad essa non imputabile; il secondo, l'accertamento della verosimiglianza dei fatti allegati, ammettendo il giudice la prova dell'impedimento - quando occorre - per provvedere, di conseguenza, sulla rimessione in termini con ordinanza. La norma richiamata dall'ordinanza in esame è l'art. 294 c.p.c., rubricato "Rimessione in termini", volta a disciplinare il procedimento in contumacia, unitamente alle norme di cui agli artt. 290 e ss.

Con la legge n. 69/2009, all'art. 153 c.p.c. è stato aggiunto un comma che prevede esattamente la possibilità per la parte di chiedere al giudice di essere rimessa in termini qualora incorra in decadenze per cause a essa non imputabili, provvedendo il giudice secondo l'art. 294 c.p.c.. La norma riprende l'identica formulazione contenuta precedentemente nell'art. 184 bis abrogato dalla stessa legge n. 69/2009 e diviene così, in linea di principio, di applicazione generale.

G. Giannozzi, ne "La contumacia nel processo civile", Milano, 1963, definiva la contumacia come una situazione unilaterale di inattività "nell'ambito del principio della disponibilità della tutela, che consegue al mancato esercizio del potere-onere di costituzione di una parte".

Se, nell'ipotesi di mancata costituzione di entrambe le parti non sorgono particolari problemi perché ancora alcun organo giudiziario è stato investito della causa (fa seguito, dunque, il meccanismo dell'estinzione ai sensi dell'art. 307, 1° e 2° comma), differente è la situazione in cui una sola parte non si costituisca. L'istituto della contumacia si correla, infatti, a diversi aspetti e regole fondamentali: il contraddittorio; la qualità di parte e altri fenomeni a essa collegati, come l'assenza. Tutti riconducibili, a loro volta, al principio fondamentale di disponibilità della tutela giurisdizionale; pertanto, alla possibilità di difendersi. Ecco perché partecipare attivamente al processo non costituisce un obbligo giuridico, bensì un onere, tanto per l'attore quanto per il convenuto.

La situazione di fatto in cui si concreta la contumacia è espressamente disciplinata dall'art. 171, 3° comma ("La parte che non si costituisce neppure in tale udienza, è dichiarata contumace con ordinanza del giudice istruttore, salva la disposizione dell'art. 291"). A questo proposito, si può operare una distinzione sulla contumacia dell'attore e su quella del convenuto. Ad ogni modo, il provvedimento col quale il giudice dichiara la contumacia è un'ordinanza revocabile conformemente a quanto previsto dall'art. 177 e ha carattere dichiarativo. È attraverso tale dichiarazione che la situazione di fatto diviene situazione di diritto, regolata come "procedimento in contumacia". Va sottolineato che l'assenza del provvedimento formale di dichiarazione di contumacia non costituisce di per sé causa di nullità.

Le norme che disciplinano questo procedimento sono orientate a garantire il cosiddetto "contraddittorio formale", mancando evidentemente quello sostanziale. Il contumace è cosi posto in condizione di essere informato degli atti del processo, come disposto dall'art. 292 c.p.c.. 

L'elenco degli atti stessi da notificare al contumace è tassativo; tuttavia va letto alla luce di un correttivo apportato dalla sentenza n. 317/1989 della Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non contempla notificazione al contumace del verbale in cui gli si dà atto della produzione di una scrittura privata precedentemente non prodotta; al contumace è, ancora, permesso di "costituirsi in giudizio in ogni momento del procedimento fino all'udienza di precisazione delle conclusioni" (v. art. 293 c.p.c.) e , inoltre, egli ha possibilità di svolgere quelle attività che altrimenti gli sarebbero ormai precluse, grazie alla norma di cui all'art. 294. È onere del contumace dimostrare che la mancata costituzione è stata determinata da causa a lui non imputabile. A tal fine, è necessario si tratti di un vizio che realmente abbia impedito di avere effettiva conoscenza del processo. 

Non costituisce, allora, vizio, ad esempio, il mancato avvertimento di cui al n. 7 art. 163; oppure un'assegnazione di termini minimi a comparire, inferiore di quella fissata nell'art. 163-bis.

Ora, il giudice provvede sull'istanza di rimessione in termini con ordinanza, nel contraddittorio delle parti. Il provvedimento in esame, accoglie il ricorso laddove l'appellante contesta "la illegittimità della rimessione in termini, in quanto disposta dal Tribunale in difetto di specifica istanza di parte" a seguito della tardiva produzione documentale (nel caso di specie, un fascicolo integrale del procedimento penale) dalla società assicurativa, oltre i termini perentori ex art. 184. 

Non rileva, secondo la Suprema Corte, l'argomentazione che i suddetti documenti non assolvano funzione probatoria a fondamento delle eccezioni di merito, bensì quella di contestare "l'attendibilità dei testi escussi".

Questo comportamento, in ogni caso, "contrasta con il consolidato principio enunciato da questa Corte secondo cui anche la verifica dell'attendibilità della fonte di prova orale ricade nella attività di valutazione e selezione delle risultanze istruttorie, affidata al Giudice di merito".

Se è vero che l'istituto della contumacia è ispirato alla tutela della parte non costituita, e non è sufficiente ad alleggerire la parte più diligente dall'onere della prova - con le ricadute che questi aspetti hanno sul principio di non contestazione e della ragionevole durata del processo - è altresì indispensabile impedire un abuso del fenomeno in oggetto. Della situazione di contumacia in generale, dello strumento della rimessione in termini in particolare.

Da qui con un ragionamento tanto lineare quanto pulito, volto a toccare alcuni princìpi cardine della dinamica processuale, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata per non essersi attenuta a tali principi "non essendo consentita alcuna regressione del processo alla fase processuale istruttoria ormai conclusa, nel caso in cui le parti non abbiano esercitato il potere di deduzione probatoria nei termini di decadenza assegnati dal Giudice, fatta salva soltanto la eventuale "rimessione in termini" per il compimento di attività processuali in ordine alle quali la parte è decaduta per causa ad essa non imputabile (articolo 184 bis c.p.c., norma successivamente abrogata e riprodotta nell'articolo 153 c.p.c., comma 2), che presuppone la espressa istanza di parte interessata - non essendo surrogabile dal Giudice di merito l'esercizio del potere dispositivo riservato alla parte processuale - e l'accertamento della condotta incolpevole tenuta dalla parte, da compiere secondo le modalità del procedimento previste dall'articolo 294 c.p.c.".

Autrice: Zulay Manganaro Menotti

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