Per la Cassazione il ristoro per l'addebito della separazione copre la lesione alla dignità della moglie e non la perdita di un marito facoltoso

di Lucia Izzo - Scoprire che il marito ha avuto una figlia da una precedente relazione è motivo che giustifica la separazione, con addebito a carico di lui, ma la moglie non può richiedere al giudice un risarcimento più elevato evidenziando le capacità reddituali dell'ex coniuge.

Il risarcimento, infatti, non è collegato alla perdita del facoltoso marito, bensì alla lesione della dignità e della salute che la donna ha subìto dalle modalità con cui ha scoperto della figlia del partner.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, I sezione civile, nella sentenza n. 19422/2017 (qui sotto allegata) che ha dichiarato inammissibile il ricorso di una donna contro la sentenza d'appello che aveva tra l'altro pronunciato la sua separazione, con addebito della stessa al marito.

La donna aveva dunque ottenuto non solo l'assegno di mantenimento da parte dell'ex, ma anche un risarcimento del danno. Tuttavia, in sede di legittimità, la ricorrente contesta la misura del ristoro in quanto la Corte nel determinarlo avrebbe valutato adeguatamente le capacità patrimoniali e reddituali del danneggiante e i conseguenti vantaggi che le avrebbe avuto in caso di persistenza del vincolo coniugale.

In sostanza, secondo la ricorrente la Corte d'Appello avrebbe dovuto tener conto anche delle capacità patrimoniali e reddituali del danneggiante nel liquidare equitativamente il danno da lei patito in relazione ai fatti che avevano portato alla separazione con addebito.

Addebito separazione: niente risarcimento per la perdita del coniuge ricco

Un motivo palesemente inammissibile per gli Ermellini: è principio consolidato che "la valutazione in concreto della liquidazione equitativa del danno rimane insindacabile in Cassazione, purché la stessa sia sorretta da motivazione adeguata e sia indicato il percorso argomentativo seguito in proposito".


Nel caso di specie il giudice a quo ha rispettato detti parametri, rilevando, con chiarezza e puntualità, che il danno subito dall'attuale ricorrente "non è la perdita di un marito facoltoso, ma, in ipotesi, la lesione della dignità e della salute per effetto delle modalità e circostanze nelle quali apprese dell'esistenza ... di una figlia che il marito aveva avuto da una precedente relazione".


Niente da fare anche per la doglianza relativa alla misura del mantenimento e al fatto che, secondo la donna, la Corte avrebbe dovuto procedere a indagini tributarie, invece omesse, per accorgersi del reddito elevato, anche indiretto, percepito dall'uomo.


Non solo la Corte d'Appello ha puntualmente motivato sul punto, ma va rammentato che le indagini patrimoniali che il giudice può disporre avvalendosi della polizia tributaria, costituiscono una deroga alle regole generali sull'onere della prova e dunque l'esercizio di tale potere non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata. In sostanza, tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi.


Cass., I sez. civ., sent. 19422/2017

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