Il tasso variabile e derivato implicito

Avv. Giampaolo Morini - Nei contratti di mutuo a tasso variabile, solitamente, la clausola contrattuale richiama una componente fissa lo spread, ed una componete variabile l'Euribor. È parere di chi scrive, che lo spread rappresenti un derivato implicito (o forse sarebbe meglio dire occulto). Come noto la cd. "clausola floor", prevede un limite percentuale al di sotto del quale il tasso non può scendere, pur in presenza della riduzione dell'indice di riferimento che ovviamente farà decrescere la sola comporne e variabile del tasso (es. euribor). Il cliente dunque, mentre sopporta il rischio illimitato dell'aumento del parametro oltre il tasso di riferimento, beneficia delle sue riduzioni solo parzialmente, ovvero solo fino al raggiungimento della soglia medesima. La clausola che impedisce al tasso di scendere al di sotto di una determinata soglia, è assimilabile ad una "Opzione Floor", che è uno strumento finanziario derivato che consente a chi lo acquista, a fronte di un premio da versare, di porre un limite alla variabilità in discesa di un determinato indice o di un prezzo, ricevendo la differenza che alla scadenza/alle scadenze contrattuali si manifestano tra l'indice/prezzo di riferimento ed il limite fissato. Nei mutui in esame, tuttavia, la Banca risulta essere l'acquirente dell'opzione, senza pagamento di un premio e con sua copertura che la variabilità del rendimento dell'attività finanziaria

(tasso del finanziamento) non potrà scendere sotto di un rendimento certo (limite minimo predeterminato del tasso). Tale protezione in favore dell'Istituto risulta essere un valore negativo per il Cliente e un costo non esplicitato nel contratto di mutuo. Perché una tale clausola possa essere valida, il cliente deve essere messo in condizione di fare una scelta consapevole, fornendogli tutte le informazioni necessarie finalizzate a rendere comprensibile la natura del floor, nonché il carattere vantaggioso dello stesso per l'istituto di credito e il "corrispettivo" che gli spetta per la previsione di siffatta clausola contrattuale. Il floor, è, come anzidetto, un'opzione che la banca, acquista, dovendo fornire al cliente, quale corrispettivo, un diverso vantaggio, che può tradursi in un tasso di interesse inferiore o in una inferiore percentuale di spread, rispetto ad un contratto
che non preveda il tasso minimo.

Il problema della trasparenza

Il cliente deve essere reso edotto nel momento della formazione del contratto, in modo che possa liberamente valutare l'opportunità dello scambio dei reciproci vantaggi, e possa consapevolmente decidere se quel determinato istituto di credito fornisca, in cambio del floor, un vantaggio migliore rispetto, ad esempio, ad un'altra banca, anche in un'ottica di ottemperanza del principio di libera concorrenza. Non è sufficiente, quindi, che il contratto

riporti semplicemente la misura numerica del floor, dovendo specificare la natura di quella singola negoziazione e soprattutto in che termini la banca bilancia quel vantaggio con uno diverso a favore del mutuatario: qual è il "prezzo" del floor per il mutuante. In definitiva, risulta di fondamentale ai fini della validità delle clausole disciplinanti i tassi minimi applicabili, che la banca abbia ottemperato ai doveri di trasparenza, correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto previsti dagli artt. 115 ss del TUB nonché dall'art. 1337 e 1175 ss del Codice Civile.

Contratto sinallagmatico o aleatorio?

Data l'atipicità di una simile clausola che assume i connotati di una tipica clausola aleatoria, inserita in un contratto di mutuo, condivisibilmente ritenuto sinallagmatico, la chiarezza nella predeterminazione della volontà assume carattere di maggior importanza. Come è possibile ricostruire in astratto il valore del premio del derivato che la banca ha, di fatto acquistato gratuitamente? Quale è la contropartita? Quali elementi di chiarezza sulla clausola floor ha fornito la banca al cliente? Come poteva il cliente della banca fare le proprie valutazioni sulla convenienza del mutuo rispetto ad altri (non indicizzati) dal momento che non è stato neppure indicato l'ISC o TAEG?. Come era possibile per il cliente fare una qualsiasi valutazione dal momento che l'unica tasso indicato nei contratti è il tasso annuo nominale? La banca non ha indicato neppure il tasso annuo effettivo. Insomma, se è vero che nel nostro paese abbiamo assistito ad una lenta e graduale conquista, a livello normativo, dei diritti sulla trasparenza bancaria, nel tentativo, mal riuscito, di adeguarci agli standard europei, i contratti in contestazione, rappresentano, indubbiamente l'esempio di come i contratti di mutuo NON devono essere scritti! Appare evidente a chi scrive, che il sinallagma contrattuale del contratto di mutuo, connota la causa tipica, dato l'equilibrio ordinamentale, preesistente, per cui le prestazioni sono ritenute, dall'ordinamento in perfetto equilibrio. L'inserimento di una clausola aleatoria, altera inevitabilmente l'equilibrio tipico della causa del mutuo, rendendolo, nella sostanza un contratto diverso, "complesso" di cui deve eprtanto essere individuata la disciplina normativa. Contrariamente ad altri contratti in cui è esplicitamente inserito un derivato, per cui i relativi flussi finanziari, consentono di identificare un collegamento tra contratti comunque distinti, nel casi di specie ciò non è possibile, essendo, la calsola Floor, di fatto, occultata nel contratto. A poco importa il nomen iuris: nel caso in cui … la prestazione …. Sia legata … al valore di strumenti finanziari assunti quale riferimento, la causa dl contratto deve ritenersi estranea a quella tipioca del contratto di assicurazione, divenendo del tutto irrilevante il nomen iuris attribuito al contratto dalle parti, con la conseguenza che ad esso devono essere applicate le norme relative alla intermediazione finanziaria. (Trib. Venezia 24.06.2010 in Rep. Civ. e Pen. , 2011, 4, 869).

Le norme violate

L'art. 18 D.Lgs. 23.07.1996 n. 415, riprodotto nell'art.23 c. 1 D.Lgs. 24.02.1998 n. 58 Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria. "La stipulazione del contratto quadro costituisce infatti, un necessario presupposto di validità dell'ordine, giacchè gli obblighi informativi previsti dalla legge sono introdotti nel rapporto, ex art. 1374 c.c., mediante tale contratto, con la conseguenza che la mancata stipulazione in forma scritta del contratto quadro comporta la nullità degli ordini di acquisto per mancanza di causa, giacchè il contratto quadro costituisce il fondamento causale degli ordini impartiti dall'investitore all'intermediario finanziario i quali, pur se conclusi in forma scritta, sono nulli qualora non siano preceduti dalla stipulazione di un contratto quadro in forma scritta"[1][2].

Sotto il profilo attivo la banca aveva l'obbligo di illustrare i rischi dell'operazione mentre sotto il profilo passivo, essa doveva raccogliere dal cliente le informazioni utili a valutare l'adeguatezza dell'operazione richiesta

Divieto di churning e della c.d. suitability rule che impone all'intermediario di adottare tutte le cautele necessarie al fine di garantire l'adeguatezza della proposta finanziaria rispetto al profilo del cliente, e non solo[3]. Il divieto di churning e la c.d. suitability rule, rappresentano una garanzia nella formazione consapevole della volontà del soggetto che aderisce a determinate tipologie di contratti. In tal senso deve darsi altresì conto del contenuto della previsione di cui all'art. 29, l° co., del reg. CONSOB n. 11522, che impone agli intermediari di astenersi dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza e dimensione.

La banca non si è comportata in conformità di quanto prescritto dal combinato disposto di cui agli artt. 21 lett. a) e b) del TUF del regolamento Consob che impone all'istituto di credito di prestare i servizi di investimento con diligenza e di operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati.

Come correttamente osservato sia in dottrina che in giurisprudenza, il concetto di diligenza di cui all'art. 21, comma 1, lett. a) del TUF si riferisce alla "diligenza del buon professionista" e non a quella del "buon padre di famiglia". Pertanto, anche se non menzionata espressamente, la professionalità contrassegna la modalità di comportamento degli intermediari, precisando il significato della diligenza.

Violazione dell'art. 28, comma 1, lett. b) del regolamento Consob n. 11522/98. Violazione dell'art. 27 del reg. CONSOB, in quanto la banca ha compiuto atti in conflitto di interessi. Come noto, l'art. 21, comma 1, lett. c) del TUF stabilisce che: "Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono (…) organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento". Si tratta di una regola analoga a quella codificata a livello europeo nel documento del Committee of European Securities Regulators (noto come CESR) "Un regime europeo per la protezione dell'investitore: l'armonizzazione delle regole di condotta"[4]. Lo standard 5 stabilisce, infatti, che: "Un'impresa di investimento deve prendere tutte le precauzioni necessarie affinché i conflitti di interesse tra la stessa ed i propri clienti siano identificati, e dunque eliminati o amministrati in modo tale da non pregiudicare l'interesse dei risparmiatori (…)"[5]. Anche la Direttiva Europea del 21 aprile 2004, n. 39[6], che abroga la Direttiva 93/22/CEE, accoglie un'impostazione simile, cristallizzando definitivamente un orientamento di matrice anglo-americana[7], che si era da tempo imposto nel senso della International Organisation of Securities Commissions[8]. I principi IOSCO stabiliscono che "Un intermediario deve cercare di evitare l'insorgere di qualsiasi conflitto di interessi, ma qualora ciò non sia possibile deve assicurare a tutti i clienti un trattamento equo, mediante una adeguata informazione, attraverso regole organizzative interne e, financo, evitando di operare qualora il conflitto non possa essere neutralizzato. In ogni caso l'intermediario non deve mai anteporre il proprio interesse a quello dei clienti".

In definitiva si riscontra la violazione da parte della banca, delle prescrizioni contenute negli artt. 21 t.u.l.f., 28 e 29 reg. Consob n. 11522/98 da considerarsi come norme imperative ex art. 1418 c.c. in considerazione degli interessi tutelati (tutela del risparmio, diligenza degli intermediari, integrità dei mercati: cfr. art. 47 Cost.; artt. 5 -riguardante le finalità dei poteri di vigilanza attribuiti alla Banca d'Italia ed alla Consob- 21 lett. a) e 190 -che prevede sanzioni amministrative per le violazioni all'art. 21 del t.ul.f.- del decreto legislativo 58/98, direttiva 93-22 UE del 10-5-1993 ora sostituita da quella n. 2004/39 CE) e della natura generale di siffatti interessi (in tal senso vedasi Trib. Firenze 30-5-2004 in www ilcaso.it per l'affermazione di tale principio con riguardo all'analoga disciplina contenuta nella legge 1/91 vedasi Cass. 7-3-2001 n. 3272; Cass. 5-4-2001 n. 5052; Trib. Torino 19-4-1998 in Foro Padano,1998,387; Trib. Milano ord. 11-5-1995 in Banca Borsa Tit. Cred.,1996,II,442).

[1] Trib Torino n. 7737/08 del 24.11.2008. In tal senso Trib Cagliari 18.01.2007

[2] Cass. S.U. 19.12.2007 nn. 26724 In relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (cd. "nullità virtuale"), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch'esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità. Ne consegue che, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario (nella specie, in base all'art. 6 l. n. 1 del 1991) può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (cd. "contratto quadro", il quale, per taluni aspetti, può essere accostato alla figura del mandato); può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del "contratto quadro"; in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell'art. 1418, comma 1, c.c., la nullità del cosiddetto "contratto quadro" o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso.

Cass. S.U. 19.12.2007 nn. 26724 La violazione dei doveri di informazione del cliente che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ove avvenga nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto d'intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti; può invece dar luogo a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazione riguardante le operazioni d'investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d'intermediazione finanziaria.

[3] In tale direzione sono andate le comunicazioni CONSOB n. DI/98080595 del 14 ottobre 1998 e n. 98088209 del 1 novembre 1998, con cui la Commissione ha individuato, nella valutazione di adeguatezza delle operazioni, alla luce del complesso di informazioni date al cliente e dallo stesso ricevute, un «momento essenziale» nello svolgimento diligente e corretto dei servizi di investimento nei confronti degli investitori.

[4] Il documento è scaricabile all'indirizzo web del CESR: http://www.europefesco.org; cfr. anche il documento integrativo "A European Regime of Investor Protection. The Professional and the Counterparty Regimes", luglio 2002, (Ref. CESR/02-098b).

[5] AA.VV., Capital Market in the Age of the Euro - Cross Border Transactions, Listed Companies and Regulation, Ferrarini, Hopt, Wymeersch (Editors), Dordrecht, 2002

[6] Cfr. in particolare, l'art. 18. Come si legge nella relazione accompagnatoria alla direttiva: "Qualora l'impresa abbia tentato di gestire i conflitti di interesse predisponendo meccanismi organizzativi senza però riuscire ad acquisire la ragionevole certeza che questi conflitti non presentino più alcun pregiudizio potenziale per gli interessi dei clienti, l'impresa è tenuta ad informare il cliente dell'esistenza di conflitti di interesse residui. Se opportuno o necessario, la comunicazione al cliente può avere cartattere generale".

[7] In materia, cfr. F. ANNUNZIATA, Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, Milano, 1993, pagg. 127 e ss.; M. GRAZIADEI, Diritti nell'interesse altrui- Undisclosed agency e trust nell'esperienza giuridica inglese, Quaderni del Dipartimento di scienze giuridiche, Trento, 1995, pagg. 352 e ss.; AA.VV., Encyclopedia of Financial Services Law, Lomnicka, Powell (a cura di), I-IV, London, 1987.

[8] Sul punto, i principi IOSCO stabiliscono che "Un intermediario deve cercare di evitare l'insorgere di qualsiasi conflitto di interessi, ma qualora ciò non sia possibile deve assicurare a tutti i clienti un trattamento equo, mediante una adeguata informazione, attraverso regole organizzative interne e, financo, evitando di operare qualora il conflitto non possa essere neutralizzato. In ogni caso l'intermediario non deve mai anteporre il proprio interesse a quello dei clienti".

Avv. Giampaolo Morini

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