L'ottava puntata della rubrica Frammenti è dedicata ad un lontano atto legislativo della Serenissima di Venezia
di Paolo M. Storani - L'ottava puntata di Frammenti è una tumultuosa ondata di vocaboli.

Quando cominciai a scrivere per questo quotidiano la mia rubrica si chiamava nei primi tempi "Diritti e Parole", almeno così era stata denominata.

Ho sempre avuto un profondo rispetto per le parole e per i diritti e allora l'endiadi, che non creai io, mi sembrò buona, anzi perfetta per me.

Ricordo anche una foto stupenda di corredo scelta dal Direttore, un dipinto di un mercato popolato da tanti volti diversissimi, intitolato "la razza è un pesce".

Pensiamo, dunque, ai diversi.

Talvolta sono le parole a sopprimere i diritti e s'impone una profonda riflessione di solidarietà verso i popoli e le etnie che hanno subito violenze e sopraffazioni.

Non so se ci avete fatto caso, ma le parole che hanno qualcosa a che fare con l'ebraismo possiedono una carica negativa e fortemente spregiativa.

Tutto nacque da un atto legislativo, uno come tantissimi altri, della gloriosa Repubblica Serenissima di Venezia.

Ebreo, giudeo, in affari un truffatore, un turpe usuraio, ateo, miscredente, uno che non va in chiesa.

I greci definirono i loro diversi barbari, coloro che balbettano la lingua greca: una forma onomatopeica splendida.

Ogni uomo che parla e scrive, insomma che si esprime in lingua greca, è un eletto, partecipe della cultura e del mondo dei vip.

Gli altri, invece, balbettano, bar-bar, emettono strani fonemi, inintelligibili versi: sembrano animali.

Tant'è che Erodoto, il primo grande inviato di guerra, fonte storica per noi preziosa ed insostituibile e viaggiatore instancabile, ricorre ad uno strano paragone con i versi dei pipistrelli, animalucci che amo, per definire una popolazione dell'Etiopia.

Pensate all'immagine di venticinque secoli fa del trentenne Erodoto, conferenziere non attico (e quindi per la legge draconiana è privo della cittadinanza ateniese), amico di Socrate, Pericle e Sofocle, che sbarca da una nave che attracca al Pireo: Atene è una metropoli mondiale, la principale del pianeta.

Avrà accumulato... moleskine di appunti o si affidava alla memoria?

Per gli ebrei si rinviene un significato simile a quello adoperato dai greci per i loro barbari nell'antico calabrese: braicu è il tartaglione. Lo scilinguato.

Gli ebrei nella tradizionale ostilità sono brutti ceffi, facce da rabbino.

Pensate al volto del grande… Infedele Gad Lerner.

(Debbo all'ascolto di Gad tante idee che mi hanno accompagnato in questi ultimi decenni.)

Ma i barbari, gli Sciti (i… più barbari di tutti), gli Unni, i Parti, gli Ungari, i Tartari e i Mongoli, erano nella leggenda popoli che avevano attinenza con il demonio.

Per una singolare contraddizione fra le varie diversità quella ebraica è la più radicata e anche ignota.

La parola rabbino ha addirittura una vicinanza fonetica italiana con rabbia.

I diversi, gli stranieri, sono una minaccia.

La rabina nel toscano volgare è l'ira rabbiosa.

Esseri litigiosi da tenere alla larga.

Tanto alla larga che li si segrega in ghetti.

La parola mondialmente nota ghetto è nostra, ne siamo orgogliosi!

Deriva dal veneziano "getto" perché il luogo prescelto era in origine un'antica fabbrica di bombarde, una fonderia.

Si carica il vocabolo di negatività perché ospita gli ebrei, che stanno popolando Venezia dopo le espulsioni da Portogallo e Spagna.

Per essere precisi, nel 1492 l'espulsione dalla Spagna e nel 1496 quella dal Portogallo.

Del resto, l'intero bacino del Mediterraneo subì profonde trasformazioni nel corso di quel secolo e le prime migrazioni massicce sparpagliano gli ebrei, ad esempio per i porti di Ancona, Costantinopoli, Livorno, Ragusa dalmata e Salonicco.

Il mare Adriatico viene navigato con difficoltà per il pericolo di agguati da parte di corsari e di uscocchi.

I corsari erano al servizio di un governo in forza di una corsa, ch'è la lettera di autorizzazione del sovrano all'armatore privato.

Invece, la parola uscocchi deriva dal croato uskok (colui che salta dentro) ed indica, con il significato di "saltare dentro" le navi da abbordare ed assalire, una popolazione di cristiani cattolici riversatisi nell'Adriatico per sfuggire ai turchi. Erano dediti alla pirateria e al saccheggio.

Azimut è un vocabolo arabo che tutti hanno adottato; nella sua radice v'è sumt, che significa via, strada, cammino e da cui discende zenit.

L'azimut è la via diritta, anzi le vie diritte perché si tratta di un plurale: assumut.

La parola araba casbah si carica analogamente di negatività come ghetto e diviene sinonimo di caos indescrivibile; casbah deriva dalla dizione originaria di qasaba, la fortezza.

I linguisti definiscono questo fenomeno di progressiva corruzione dei vocaboli un peggioramento semantico.

In veneziano il vecio rabin è il vecchio strano e stizzoso.

L'odio per l'ebreo si inasprisce, ma per fortuna Hitler è ancora storicamente lontano.

Il cristiano e il cattolico sono perfetti, sani, normali, regolari, pii, religiosi, in una parola: buoni!

In calabrese mangiare catuolico significa avere un buon appetito, essere sani.

Catolico in una valle valdese significa cheto, tranquillo.

La babele (Babilonia) linguistica è sinonimo di caos, baraonda in cui tutti parlano sovrapponendo le voci: la sinagoga!

Il vocabolo discende dal greco "riunione, assemblea".

La stessa parola, estremamente bella e musicale, ch'è Ramadan viene storpiata nei dialetti italiani del settentrione in "frastuono, gazzarra".

Bailamme ha attinenza con il vocabolo turco bayram, che significa "festa religiosa".

Nell'anno 1516 nasce così per legge il primo ghetto del mondo, a Venezia.

E' il 29 marzo 1516 per la precisione e le mura del ghetto segnano il primo rintocco della storia per la diaspora del popolo ebreo per i territori europei e mondiali.

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