Le ambiguità della normativa e la soluzione di giurisprudenza e dottrina

Avv. Giampaolo Morini - La voce «versamenti in conto capitale» (o in conto futuro aumento di capitale) risale agli anni Settanta ovvero alla riforma tributaria del 1973 (l'art. 43 d.p.r. n. 1973/597, secondo cui «per i capitali dati a mutuo si presume il diritto agli interessi... La presunzione non vale per le somme versate dai soci alla società in conto capitale»).

Le ambiguità della normativa

L'ambiguità del linguaggio fece insorgere problemi interpretativi: venivano usati alternativamente i termini « versamenti » - « finanziamenti » (ed anche di « finanziamenti in conto aumento di capitale »), talché diventava difficile distinguere se si trattasse di «versamenti » fatti dai soci a titolo di « mutuo » (e, quindi, di « finanziamento ») oppure ad altro titolo (tale ambiguità del linguaggio era in realtà voluta, per consentire, nel caso di insolvenza della società beneficiaria, la possibilità di sostenere che era stato effettuato un « finanziamento » e pretenderne, quindi, la restituzione, eventualmente insinuandosi nel fallimento della società (PORTALE, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Riv. soc., 1991, p. 108 ss., dove si sostiene la tesi che, nel caso di sottocapitalizzazione manifesta della società, i c.d. prestiti vanno coattivamente «riqualificati» come conferimenti dei soci).

La soluzione della Cassazione

Con la sentenza Cass., 3 dicembre 1980, n. 6315, l'ambiguità del linguaggio trova la soluzione, infatti nella motivazione si legge: « Il versamento effettuato dai soci della società in conto futuro aumento di capitale, pur non determinando un incremento del capitale sociale e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale, ha una causa che di norma è diversa da quella del mutuo (a meno che non esista una specifica pattuizione in contrario, tale da snaturare il tipo dell'elargizione e da ricondurla allo schema di un comune finanziamento), ed è simile invece a quella del conferimento in capitale, che è un conferimento di rischio.

È estranea, infatti, ad un tale versamento la finalità di ricollegarvi un'obbligazione attuale di restituzione, e vi è presente, invece, quella di ricollegarvi i diritti insiti nella partecipazione societaria: diritti che comprendono bensì quello di avere in restituzione i conferimenti, ma col duplice limite che esso diventa attuale solo dopo lo scioglimento della società e che non gode della garanzia che l'art. 2740 c.c. attribuisce ad ogni creditore, potendo esercitarsi solo sull'eventuale residuo attivo risultante dal bilancio di liquidazione ».

La sentenza citata determino un consolidamento nella giurisprudenza e nella dottrina. Quanto alla giurisprudenza, essa si è allineata alla posizione della Cassazione come risulta dalle seguenti massime: « la posta in bilancio denominata 'versamento soci in conto capitale' non è rappresentativa di operazione di mutuo dei soci alla società, bensì di un conferimento vincolato all'aumento di capitale sociale, e costituisce un capitale di rischio, non restituibile ai soci se non previa delibera

assembleare » (Trib. pen. Torino, 25 luglio 1984); « il versamento effettuato dai soci in conto futuro aumento di capitale sociale ha natura analoga al conferimento e il diritto alla sua restituzione diventa attuale solo dopo lo scioglimento della società » (Trib. Reggio Emilia, 30 ottobre 1987); « il versamento effettuato dai soci in conto di futuro aumento di capitale ha una causa diversa da quella del mutuo, a meno che non esista una espressa pattuizione in contrario, ed è assimilabile a quello del conferimento in capitale che è conferimento di rischio; tale versamento, proprio per la sua natura analoga a quella del conferimento, non potrà essere restituito se non dopo lo scioglimento della società » (Trib. Milano, 25 luglio 1988,); « i c.d. versamenti in conto futuro aumento di capitale, effettuati al di fuori degli schemi giuridico-formali delle procedure d'incremento del capitale sociale, sono pienamente legittimi e si caratterizzano per la spontaneità della dazione e per la mancanza di un obbligo di restituzione a carico della società » (App. Bologna, 16 febbraio 1991: si tratta di una decisione in cui il versamento era stato eseguito da un solo socio).

La posizione della dottrina

E, come anticipato la Cass., 3 dicembre 1980, n. 6315, ha influenzato notevolmente anche la dottrina che ha effettuato una serie di precisazioni:

1) È stato definitivamente chiarito, in primo luogo, che in base all'autonomia privata sono ammissibili nelle società di capitali dei conferimenti, per così dire, « atipici »: nel duplice significato che

a) si tratta di conferimenti eseguiti al di fuori degli schemi giuridico-formali previsti dal codice civile per la costituzione della società e per l'aumento del capitale sociale;

b) sono destinati ad incrementare il solo patrimonio, in quanto (proprio perché eseguiti al di fuori degli schemi giuridico-formali tipici) non sono imputabili a capitale (salvo che, con apposita delibera assembleare di modifica dell'atto costitutivo, questo — dopo il versamento di siffatti conferimenti « atipici » — venga aumentato con imputazione degli stessi a capitale (IRRERA, « Prestiti » dei soci alla società, Padova, 1992, pag. 142 ss.);

2) I versamenti in conto capitale (non essendo imputabili a capitale: nel senso appena chiarito), una volta eseguiti, vanno a costituire una c.d. riserva di capitale, che la dottrina prevalente ritiene soggetta alla stessa disciplina della riserva da sovrapprezzo (- COLOMBO, Bilancio d'esercizio e consolidato, cap. III, sez. I, n. 24, in Trattato delle s.p.a, diretto da Colombo e Portale, VII, Torino, 1994);

3) Il problema principale è quello di stabilire quando i « versamenti» al di là della loro denominazione (è stata catalogata una dozzina di denominazioni usate nella prassi!), costituiscono un « finanziamento», sia pur infruttifero, e quando invece un vero conferimento in conto capitale. La questione va, anzitutto, risolta in base alla effettiva volontà delle parti (se chiaramente espressa)[1]. Se questo criterio non soccorre (perché è ambigua la volontà delle parti) la chiave di lettura della qualificazione dei versamenti va ricercata nella terminologia adottata dal bilancio: questo è soggetto all'approvazione dei soci e le qualificazioni che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio (ad es.: riserva da versamento in conto capitale o in conto futuro aumento capitale) diventano determinanti per stabilire se si tratta di «finanziamento » (« mutuo ») o di « conferimento » (TANTINI, Il bilancio d'esercizio, Padova, 1994, p. 81 ss., il quale sottolinea che i nuovi schemi di stato patrimoniale dovrebbero eliminare i dubbi e le confusioni esistenti in passato; nei bilanci bancari, a mio giudizio, i versamenti che hanno natura di « finanziamenti » dovranno essere iscritti nella voce del passivo « Altre passività », mentre quelli che hanno vera natura di « versamenti in conto capitale » (o « in conto futuri aumenti di capitale »), trattandosi di conferimenti, andranno iscritti subito dopo la posta del « capitale sociale » come « riserva da versamenti in conto futuri aumenti di capitale » (MARCHETTI, L'aumento di capitale, cap. II, La tipologia degli aumenti di capitale, n. 8, in Trattato delle s.p.a., diretto da Colombo e Portale).

I cambiamenti dopo l'entrata in vigore del TUIR

L'entrata in vigore del testo unico delle imposte sui redditi (d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917) ha contribuito in modo determinante all'evoluzione della prassi dei versamenti in discorso: ciò soprattutto perché (a differenza di quanto stabiliva l'art. 43, comma 2o, d.p.r. n. 597/1973) non è più richiesto che i versamenti dei soci « in conto capitale » vengano eseguiti in proporzione alle rispettive quote di partecipazione e che siano preceduti da una « formale deliberazione » per sottrarre i predetti versamenti alla presunzione che si tratti di somme a titolo di prestito oneroso (cioè produttivo di interessi).

Le conseguenze che hanno seguito l'entrata in vigore del TUIR sono state rilevanti:

a) i versamenti in conto capitale sono ora effettuabili liberamente (spontaneamente) dai soci, nel senso che sono eseguibili anche in mancanza di qualsiasi delibera assembleare;

b) i soci possono effettuare i versamenti « in conto capitale » o « in conto futuro aumento di capitale » senza rispettare la proporzione della loro partecipazione al capitale;

c) è anche possibile, pertanto, che sia un solo socio ad effettuare un « versamento in conto capitale »: ormai risulta chiaro che le due denominazioni possono essere utilizzate in modo fungibile.

Esaminando l' ipotesi « versamenti » eseguiti da un solo socio, si rilevano i seguenti profili.

1- il « versamento in conto capitale » individua e genera «una riserva da versamenti in conto capitale (o in conto futuri aumenti di capitale)». Differentemente da quanto accade nel caso di versamenti eseguiti da tutti i soci in proporzione al capitale posseduto, nell'ipotesi in esame la riserva sarà di esclusiva pertinenza dell'unico socio che ha fatto il versamento: si avrà quindi, una riserva, « personalizzata » e ciò dovrà risultare dallo stato patrimoniale o quanto meno dalla nota integrativa dovendo specificare che il versamento è stato eseguito da un determinato socio e che, pertanto, è di sua esclusiva spettanza.

In caso di aumento di capitale, le azioni di nuova emissione dovranno essere attribuite solo al socio che ha eseguito il versamento, diversamente dal passato quando si parlava di aumento di capitale gratuito a favore di tutti i soci (App. Bari, 27 maggio 1988,: « è legittima l'operazione di aumento gratuito del capitale sociale effettuata imputando a capitale i versamenti effettuati dai soci in conto futuro aumento del capitale sociale, i quali costituiscono mezzi propri della società e non debiti verso i soci »). Si ricorda inoltre che: « La costante relazione (influenzata dalla normativa tributaria) tra versamenti in conto (futuro aumento) di capitale e la circostanza peraltro che tali versamenti non solo nella pratica, ma oggi anche a livello legislativo (artt. 44, comma 1o; 55, comma 4o; 61, comma 5o, Testo Unico Imposte dirette; art. 4, lett. a) Tariffa allegata al d.p.r. del 1986 sull'imposta di registro), vengono tenuti distinti da « versamenti a fondo perduto », induce a ritenere che nella posta di capitale di rischio « versamenti in conto (futuro aumento di) capitale » non viene perso il collegamento con coloro che tale posta hanno formato; il che peraltro non è affatto incompatibile con la appartenenza al patrimonio netto, posto che questo collegamento, tramite le azioni, sussiste per lo stesso capitale. Il collegamento consiste nel fatto che, ove imputato a capitale, il versamento deve rafforzare la posizione amministrativa di coloro che lo ebbero ad effettuare per il medesimo importo. In altri termini, le azioni emesse a fronte di versamenti in conto (futuro aumento di) capitale passati a capitale devono essere attribuite a coloro dai quali provengono i versamenti, in proporzione alle contribuzioni di ciascuno... È evidente come tale esigenza sia incompatibile con la qualificazione dell'operazione in termini di aumento gratuito del capitale. L'aumento di capitale gratuito postula infatti la perdita di ogni collegamento con la posta utilizzata e coloro che contribuirono a formarla... » (così MARCHETTI, L'aumento di capitale, cap. II, La tipologia degli aumenti di capitale, n. 8, in Trattato delle s.p.a., diretto da Colombo e Portale).

2- Nel caso in cui non tutti i soci abbiano contribuito ai versamenti in conto (futuro aumento di) capitale (e, quindi, a fortiori nel caso in cui i versamenti siano stati effettuati da un solo socio), la delibera di aumento con imputazione dei versamenti a capitale comporterà, una limitazione del diritto di opzione. Per preservare il diritto di opzione, la delibera dovrà prevedere che la liberazione dell'aumento avvenga con imputazione a capitale dei versamenti in conto capitale per i soci (o per il socio se l'aumento è generato da uno solo) che vi abbiano (o vi abbia) diritto e sino a concorrenza dei quantitativi loro (o ad esso) spettanti in base al diritto di opzione, restando peraltro aperta a tutti i soci la sottoscrizione con nuovi versamenti (MARCHETTI, op. cit.).

3- La destinazione del versamento in conto (futuro aumento di) capitale, di regola, non è tipicamente condizionata alla sua effettiva imputazione a capitale. Si ritiene, diversamente, che: « l'aumento di capitale che venga deliberato in presenza di versamenti in conto (futuro aumento di) capitale non si presume affatto da eseguirsi con imputazione anzitutto di tali versamenti. I soci ben possono incrementare il capitale lasciando sussistere i versamenti in conto capitale. Occorrerà per il loro utilizzo una specifica previsione della delibera assembleare di aumento » (MARCHETTI, op. cit.).

4- Da quanto si qui esposto, i versamenti in conto futuro aumento di capitale hanno assunto la qualifica di strumenti di formazione di « riserve di capitale », utilizzabili per aumenti di capitale anche quando il versamento provenga da un solo socio. Diverso è il caso dell'incidenza delle perdite nell'ipotesi in cui, oltre ad altre riserve (facoltative, statutarie, da sopraprezzo, legale) esista, appunto, una «personalizzata», perché costituita con versamenti provenienti da un solo socio. Si deve ritenere che la soluzione più corretta (anche sulla base del principio di parità di trattamento) sia quella che espone la riserva in discorso all'incidenza delle perdite solo dopo che queste abbiano esaurito (erodendole) tutte le riserve, per così dire, di spettanza comune (e cioè di tutti i soci): pertanto la perdita potrà cominciare ad incidere sulla riserva « personalizzata » solo dopo che anche la riserva legale sia stata esaurita con l'impiego nella copertura della perdita (COLOMBO, Il bilancio e le operazioni sul capitale, in Giur. comm., 1984, I, p. 870 s.).

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Avv. Giampaolo Morini

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[1] App. Firenze, 21 maggio 1990, in Dir. fall., 1990, II, p. 1432: « Risulta... inconfutabilmente che la posta 'soci in conto capitale' iscritta al passivo nello stato patrimoniale produceva interessi passivi, accreditati ai soci finanziatori, e da tale premessa discende che la posta non poteva individuare fondi della società ».


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