Ai fini della condanna per il reato di cui all'art. 727 c.p. non è sufficiente il fatto che il collare sia in funzione per provocare sofferenze all'animale

di Marina Crisafi - Non basta che il collare elettrico sia acceso e funzionante per condannare il padrone per le sofferenze inflitte al proprio cane. Così la Cassazione con la sentenza n. 30155/2017 (sotto allegata) accogliendo il ricorso del proprietario di due cani e annullando la sentenza impugnata.

La vicenda

Nella vicenda, il tribunale di Vasto aveva condannato un uomo per l'illecito di cui all'art. 727 c.p. per aver fatto indossare ai suoi due cani un collare elettronico acceso e funzionante costringendoli a sofferenze incompatibili con la loro natura.

L'imputato propone ricorso per cassazione, lamentando vizio motivazionale giacchè nessuna prova, a suo dire, era stata raggiunta in ordine ai maltrattamenti subiti dai due animali atteso il mancato accertamento sul piano probatorio delle concrete modalità di utilizzo del collare.

Per gli Ermellini, il ricorso è meritevole di accoglimento.

Gli elementi costitutivi del reato ex art. 727 del codice penale

La fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 727 c.p., che punisce la condotta di chi "detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze" ricorre, ricordano dal Palazzaccio, secondo quanto emerge dalla lettera della norma "in presenza della duplice condizione di incompatibilità dello stato di detenzione dell'animale con la sua natura e dell'idoneità della medesima a provocare gravi sofferenze, di talché entrambe si configurano come elementi costitutivi del reato".

Pertanto, mentre il parametro normativo della natura degli animali in base al quale la condotta di detenzione si pone come contraria e perciò assume valenza illecita, si ricava dal patrimonio di comune esperienza e conoscenza (ovvero dalle acquisizioni delle scienze naturali), l'elemento della grave sofferenza sussiste in presenza di una condotta tale da "incidere sensibilmente sull'integrità psico-fisica dell'animale" o "sulla sua sensibilità producendogli un dolore".

Nella sentenza impugnata invece non è adeguatamente motivata la sussistenza di nessuno dei due elementi, non evincendosi né la condizione di detenzione dei cani contraria alla loro natura, "né risultando accertate le conseguenze in concreto patite dai due animali per effetto del collare elettronico indossato, che il solo fatto di essere stato trovato acceso e funzionante non consente di presumere possa aver causato le conseguenze indicate dalla norma incriminatrice, costituite da "gravi" sofferenze, senza alcuna verifica della qualità, della portata e dell'intensità delle scariche azionate attraverso il telecomando di cui era in possesso l'imputato, di cui pertanto non sono state appurate le modalità di utilizzo". Parola al giudice del rinvio.

Cassazione, sentenza n. 30155/2017

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