Per il Consiglio Nazionale Forense è deontologicamente illecito offrire assistenza legale gratuita per un caso finito sui giornali solo per ottenere notorietà di rimbalzo

di Lucia Izzo - Commette un illecito disciplinare l'avvocato che al fine di ricavarne una possibile notorietà, offra assistenza legale gratuita alle parti di un fatto di cronaca di grande clamore mediatico.


Lo ha affermato il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 390/2016 (qui sotto allegata) pubblicata sul sito istituzionale il 17 giugno 2017, ritenendo congrua la sanzione disciplinare della censura comminata dal COA.


Nel caso di specie, il professionista aveva contattato i familiari delle vittime di un crimine molto noto ai mass-media, proponendosi come legale per la costituzione di parte civile precisando che, in caso di effettivo conferimento dell'incarico professionale, la sua attività sarebbe stata totalmente gratuita.


All'avvocato era stata irrogata dal COA territoriale la sanzione della censura sul presupposto che il suo comportamento non era stato conforme alla dignità e al decoro professionale, nonché al disposto dell'art. 19 del Codice deontologico (oggi art. 37 ncdf) il quale pone il divieto di accaparramento della clientela, avendo questi offerto la propria disponibilità gratuita per la tutela legale dei parenti delle vittime di omicidio molto noto ai mass media ai fini della costituzione di parte civile.


A tale esito il COA perveniva ritenendo che il tenore delle frasi contenute nella mail inviata dall'avvocato ai potenziali clienti fosse chiaro e di per sé adeguato a comprovare la violazione del precetto deontologico contestato e cioè l'acquisizione di rapporti di clientela non conforme alla correttezza e al decoro professionale.


Per il CNF i motivi addotti nel ricorso della professionista contro il provvedimento disciplinare non sono fondati e deve quindi esserle confermata la responsabilità e la sanzione inflitta per i fatti.

Illecito offrire gratis assistenza legale per un caso di clamore mediatico

Inutile per l'avvocato affermare l'insussistenza della violazione a seguito della normativa Bersani: infatti, consolidata giurisprudenza richiamata nel provvedimento precisa che il Codice deontologico forense

, a seguito dell'entrata in vigore della normativa nota come "Bersani", consente non una pubblicità indiscriminata (e in particolare non comparativa ed elogiativa), ma la diffusione di specifiche informazioni sull'attività, anche sui prezzi, i contenuti e le altre condizioni di offerta di servizi professionali, al fine di orientare razionalmente le scelte di colui che ricerchi assistenza, nella libertà di fissazione di compenso e della modalità del suo calcolo.


La peculiarità e la specificità della professione forense, in virtù della sua funzione sociale, impongono tuttavia, conformemente alla normativa comunitaria e alla costante sua interpretazione da parte della Corte di Giustizia, le limitazioni connesse alla dignità ed al decoro della professione, la cui verifica è dall'ordinamento affidata al potere-dovere dell'ordine professionale"


Anche a seguito dell'entrata in vigore della richiamata normativa, inoltre, il disvalore giuridico continua a risiedere tutto negli strumenti usati per l'acquisizione della clientela, che non devono essere alcuno di quelli tipizzati in via esemplificativa nei canoni complementari dell'art.19 c.d.f. (oggi 37 ncdf) non concretizzarsi nell'intermediazione di terzi (agenzie o procacciatori), né essere, più genericamente, "mezzi illeciti" o meglio, nella versione vigente, che possano esplicarsi in "modi non conformi alla correttezza e decoro".


Nel caso di specie, l'offerta "gratuita" di tutela legale, formalizzata con la citata mail, avuto riguardo alle sue modalità e tenore letterale, costituisce violazione della dignità e decoro professionale, considerata anche l'assenza di qualunque precedente rapporto diretto con il cliente e il forte rilievo mediatico del processo penale in argomento.

Consiglio Nazionale Forense, sent. 390/2016

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