L'equivocità diagnostica esclude l'imperizia e dunque la responsabilità dei sanitari

di Marina Crisafi - In caso di "equivocità diagnostica" l'intervento rivelatosi non necessario può escludere la responsabilità del medico. Lo ha affermato la Cassazione con la recentissima sentenza n. 29053/2017 (qui sotto allegata) esprimendosi sul caso di due sanitari condannati in primo grado per lesioni colpose ai danni di un paziente e poi assolti in appello perché dato il complesso quadro diagnostico era da escludersi la ricorrenza di profili di colpa professionale per imperizia.

La vicenda

Ai sanitari, componenti dell'equipe chirurgica, era contestato di aver eseguito un intervento sul paziente (una "laparotomia" al fine di trattare una sospetta neoplasia intestinale) sebbene l'evidenza diagnostica e le condizioni dello stesso non giustificassero un tale trattamento, il quale invero si era rivelato inutile.

I giudici di primo grado, ai fini della pronuncia di condanna, avevano valorizzato gli esiti della perizia fatta eseguire, dalla quale erano emersi profili di colpa professionale per non avere i suddetti sanitari indagato ulteriormente con strumentazione diagnostica sulla natura della ipotizzata patologia, "in presenza di elementi diagnostici non univoci e comunque inidonei a giustificare l'opzione chirurgica, tenuto conto che non si verteva in ipotesi di urgenza terapeutica".


I giudici di appello al contrario evidenziavano che gli accertamenti fatti eseguire non avevano fornito "evidenze tali da escludere la indicazione per l'opzione chirurgica" e pertanto escludevano la ricorrenza di profili di colpa professionale per imperizia a carico dei due sanitari.

Impugnava la sentenza ai fini civili la difesa della parte civile, sostenendo carenza e illogicità manifesta di motivazione e travisamento della prova in relazione alle conclusioni cui era giunto il giudice di appello, in totale contrasto con gli esiti della perizia.

Il quadro diagnostico poco chiaro esclude la colpa

Ma per gli Ermellini, la sentenza è corretta. Il giudice di appello scrivono infatti "ha fatto corretto uso dei principi che regolano l'accertamento della responsabilità sanitaria

nel processo penale, argomentando, con ragionato e non contraddittorio articolato motivazionale, oltre le valutazioni dei consulenti tecnici". Invero, se è certo che l'intervento "si rivelò sostanzialmente inutile nella prospettiva, paventata dai sanitari, di formazione tumorale nel colon del paziente, di talché allo stesso derivò la lesione rappresentata dalla ferita conseguente all'intervento con esito cicatriziale e conseguenze dolorabilità e indebolimento dell'area addominale", i giudici hanno adeguatamente "enucleato la ricorrenza della indicazione terapeutica", ponendo in luce il quadro contraddittorio in cui versava il paziente. La valutazione dell'equipe sanitaria, come ben evidenziato in appello, "era intervenuta - in sostanza - in uno spettro di equivocità diagnostica che avrebbe dovuto comunque essere sciolta", per cui è corretta l'esclusione della ricorrenza di imperizia a carico dei medici che "hanno effettuato una scelta chirurgica proprio perché dagli esami compiuti durante otto giorni di degenza del paziente nel reparto di chirurgia d'urgenza non era stata affatto esclusa con certezza una neoplasia".

Cassazione, sentenza n. 29053/2017

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