La Cassazione ha precisato il perimetro dell'incolpazione del magistrato che agisce con ignoranza o negligenza inescusabile

di Lucia Izzo - Il giudice incolpato di aver agito con "grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile", può sottrarsi alla contestazione disciplinare solo qualora ricorra l'assenza di qualunque ingiusto pregiudizio o indebito vantaggio per alcuno, come conseguenza oggettiva del comportamento dell'incolpato, l'assenza di "neghittosità" e, anzi, il convincimento, sia pure a torto, di avere agito per il bene delle parti offese, nonché il difetto della lesione del prestigio e della credibilità dell'Ordine Giudiziario.


Lo hanno precisato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 14550/2017 (qui sotto allegata) originata dal caso riguardante un magistrato, sottoposto a procedimento disciplinare a causa della sua "negligenza inescusabile" in relazione a procedimenti assegnati alla propria sezione e, in particolare, riguardanti liquidazione di onorari e compensi per consulenti tecnici.


La Sezione disciplinare del CSM, tuttavia, aveva assolto l'incolpato ritenendo non provato nella specie il danno ingiusto per le parti che avevano sopportato le spede delle liquidazioni contestate, anzi, nessuna di esse aveva impugnato i provvedimenti in oggetto né aveva formulato alcuna doglianza in relazione al quantum.


Inoltre, alla stregua degli importi liquidati, si era ritenuto che questi non presentavano di per sé quella discrasia macroscopica idonea a rendere ex se rilevante il danno, trattandosi, secondo le ipotesi dell'Amministrazione in sede ispettiva, di scostamenti contenuti da quanto dovuto.


Da qui il ricorso del Ministro e del Ministero della Giustizia. In particolare, l'Avvocatura dello Stato deduce violazione di legge, ritenendo che non incida sulla configurabilità dell'ipotesi di cui all'art. 2, lett. a) del d.lgs. 109/2006 la mancata proposizione di impugnazioni avverso i provvedimenti illegittimi, richiedendo la norma il danno come elemento obiettivo e non come percepito dalle parti, e che la liquidazione di somma maggiore rispetto a quella che spetta alle parti comporta ex se un danno.


La Cassazione ritiene la doglianza fondata rammentando che secondo l'indirizzo giurisprudenziale prevalente, le fattispecie di illecito disciplinare previste, rispettivamente, dalle lettere a) e g) dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, che sanzionano l'una la violazione dei doveri di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio e rispetto della dignità della persona che arrechi ingiusto danno o indebito vantaggio a una delle parti, e l'altra la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile, non sono tra loro in rapporto di specialità.


Ciò in quanto l'elemento connotante la prima fattispecie è costituito dalla conseguenza ("ingiusto danno" e "vantaggio indebito") derivante dalla violazione dei doveri primari incombenti sul magistrato, mentre gli elementi caratterizzanti la seconda fattispecie (gravità della violazione di legge e inescusabilità dell'ignoranza o negligenza) attengono essenzialmente alla condotta e all'elemento psicologico dell'illecito, sicché è la loro diversa natura di illeciti "di evento" e "di pura condotta" a comportare che un unico comportamento possa integrare entrambi gli illeciti.

Insufficiente la sola condotta del magistrato, necessario ingiusto danno o indebito vantaggio

Affinchè sussista l'illecito disciplinare previsto dalla lett a) della norma, è dunque necessaria la verificazione di un evento costituito dall'ingiusto danno o dall'indebito vantaggio per una delle parti del procedimento, non essendo sufficiente la sola condotta del magistrato, consistente nella violazione dei doveri di cui al precedente articolo.


Nel caso di specie erroneamente il giudice disciplinare ha escluso la sussistenza del danno ingiusto per le parti, rilevando che queste non avevano impugnato i provvedimenti di liquidazione né chiesto la revoca né dedotto a motivo di doglianza l'entità delle liquidazioni e che gli importi liquidati non differivano così macroscopicamente da quelli liquidabili secondo il d.P.R. 115/2002, da costituire di per sé danno rilevante.


Così argomentando, la sentenza impugnata ha sostanzialmente presupposto la valenza soggettiva del danno ingiusto (salva l'esorbitanza sul piano del quantum idonea a configurare ex se il requisito in oggetto), tanto da ritenere rilevante la reazione delle parti che hanno sopportato le violazioni effettuate dal magistrato , mentre il disposto normativo connota oggettivamente il danno come ingiusto.


E il riferimento alla "non macroscopica" divergenza tra quanto liquidato nei casi indicati e quanto liquidabile normativamente potrebbe se del caso rilevare sotto il profilo della scarsa rilevanza del fatto.


La fattispecie in esame va dunque interpretata alla luce del principio di offensività, attraverso una considerazione congiunta dell'aspetto oggettivo, avente riguardo all'esiguità del danno o del pericolo, e dell'aspetto soggettivo, costituito dal grado della colpevolezza.

Deve dunque affermarsi l'irrilevanza della condotta anche nel caso in cui sia contestata la fattispecie di cui all'art. 2, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 109/2006, laddove sia assente qualunque pregiudizio ingiusto o indebito vantaggio per taluno determinati dal comportamento dell'incolpato e manchi, altresì un'inerzia permanente e la lesione al prestigio e della credibilità dell'Ordine Giudiziario.

Cassazione, sentenza n. 14550/2017

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