E' polemica sulla sentenza che vieta ad un immigrato di circolare per le strade con un pugnale per motivi religiosi

di Valeria Zeppilli - La Cassazione, in questi giorni, sta dando molto da discutere. Dopo aver abolito il parametro del tenore di vita nella valutazione del diritto all'assegno divorzile (leggi: Divorzio: la Cassazione dice addio al tenore di vita), con un'altra pronuncia, questa volta emessa dalla sezione penale, è tornata di nuovo protagonista delle pagine dei giornali.

Ci riferiamo alla sentenza numero 24084/2017 (qui sotto allegata), con la quale i giudici hanno letteralmente affermato che è "essenziale l'obbligo per l'immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all'ordinamento giuridico che la disciplina"

La vicenda: il pugnale Kirpan

Alla base della pronuncia, la vicenda di un indiano condannato alla pena di 2mila euro di ammenda per il fatto di essersi aggirato, senza un giustificato motivo, con un coltello lungo 18 centimetri e mezzo e, per le sue caratteristiche, idoneo all'offesa.

Il punto, però, è che il coltello era in realtà un pugnale Kirpan, ovverosia uno dei simboli della religione monoteista Sikh, alla quale l'indiano apparteneva: facendo leva su tale circostanza, e individuando in essa una giustificazione al porto del coltello, l'uomo è quindi ricorso in Cassazione per tentare di salvarsi dalla condanna, anche invocando l'articolo 19 della Costituzione.

I limiti alla libertà di religione

Per la Corte, tuttavia, la sicurezza pubblica è un bene da tutelare ed è proprio a tal fine che il nostro ordinamento pone il divieto di porto di armi e di oggetti atti ad offendere. Così non può ritenersi che la libertà di religione, il libero esercizio del culto e l'osservanza dei riti non contrari al buon costume siano ostacolati da provvedimenti di tale genere, in quanto l'articolo 19 della Costituzione incontra comunque dei limiti che la legislazione pone in vista della tutela di altre esigenze, come quella della pacifica convivenza e della sicurezza.

Di conseguenza, la decisione consapevole di stabilirsi in una società i cui valori sono diversi da quelli della società di provenienza "ne impone il rispetto e non è tollerabile che l'attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante".

La conclusione, quindi, per la Corte è una sola: l'ammenda resta.

Le reazioni politiche

Come non era difficile immaginare, le reazioni sono giunte senza un minuto di ritardo, soprattutto dal mondo politico.

Se da Forza Italia, Fratelli d'Italia-Alleanza nazionale e Lega nord arrivano grandi applausi, il responsabile sicurezza del PD, Fiano, ci va più cauto: la sentenza è giusta e equilibrata, ma non va strumentalizzata dalla politica. Sullo stesso eco si pone anche la Cei. 

Corte di cassazione testo sentenza numero 24084/2017
Valeria Zeppilli

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