Il caporalato, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, è una fattispecie prevista e punita dall'art. 603-bis c.p.

Caporalato: l'art. 603-bis c.p. all'indomani della riforma del 2016

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La fattispecie ex art. 603-bis "Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro", che ha subito profonde modifiche ad opera della L. 199/2016, viene genericamente identificata con la locuzione "caporalato" che indica la sfruttamento del lavoro nell'ambito agricolo.

L'innovazione principale apportata dalla legge 199/2016 è sicuramente costituita dall'introduzione da una nuova figura del responsabile.

Infatti l'art. 603-bis c.p. ante-riforma puniva la sola condotta dell'intermediario, mentre all'indomani della riforma del 2016 viene inserito il comma 2 che prevede la responsabilità penale anche dell'utilizzatore ovvero del datore di lavoro, ciò in quanto, come formulato in origine l'art. 603-bis c.p. sembrava violare il principio di eguaglianza, pertanto si è ritenuto essenziale estendere la sanzione penale anche al datore di lavoro che approfittando della condizione di bisogno del lavoratore lo sfrutti.

L'ulteriore innovazione di rilievo, oltre alle specifiche aggravanti, è poi certamente individuabile nel comma 3 dell'art. 603-bis c.p., ove sono indicati i cosiddetti "indici rivelatori" della fattispecie, cioè sono stati specificati una serie di elementi in presenza dei quali dovrebbe ritenersi configurato il reato.

Gli indici rilevatori dello sfruttamento dei lavoratori

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La nuova fattispecie ex art. 603- bis c.p. risulta essere caratterizzata dallo sfruttamento dei lavoratori mediante l'utilizzo di violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori.

Ne consegue che la fattispecie risulta essere molto più completa e molto più incisiva, tuttavia non mancano già forti critiche soprattutto in merito ai criteri indicati al comma 3 dell'art. 603-bis c.p. che introducono un margine abbastanza ampio nella valutazione delle condotte delittuose.

E' bene infatti evidenziare che il delitto de quo si colloca, all'interno del codice penale, tra i delitti contro la libertà personale, la stessa collocazione lascia pensare che tra tutti gli elementi caratterizzanti il "caporalato" devono considerarsi come essenziali quelli della minaccia, violenza nonché lo sfruttamento dello stato di bisogno in cui versa i lavoratore.

Risulta infatti molto più marginale il criterio attinente alla retribuzione, criterio che certamente caratterizza la condotta e che deve essere tenuto in considerazione, ma è ovvio che una simile fattispecie non potrà ritenersi integrata solo o in virtù del fatto che si registri il mancato versamento della retribuzione, ancorchè unico elemento accertato.

Infatti la collocazione del delitto tra le fattispecie contro la libertà personale mira a garantire che la sanzione penale colpisca per lo più tutte quelle condotte che ledono materialmente la libertà del singolo ponendolo in una condizione di assoluto soggezione rispetto a chi risulta essere economicamente più forte.

Il nuovo testo normativo appare piuttosto "magniloquente" ma ciò che preme adesso comprendere sarà la portata reale della nuova disciplina e soprattutto i reali effetti che riuscirà a sortire sia in termini di maggior tutela del lavoratore sia in termini di riduzione del fenomeno in sé.

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Avv. Alessandra Di Marco

alessandradimarco@virgilio.it


Foto: 123rf.com
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