Per la Cassazione si tratta di diffamazione aggravata dal mezzo di pubblicità e non dal mezzo della stampa

Avv. Francesca Servadei - Con sentenza 4873/2017 (qui sotto allegata), Facebook entra nuovamente nelle aule di Cassazione dove la V Sezione si pronuncia sulla delicatissima questione della diffamazione mediante il social network.

La vicenda

L'imputato aveva scritto sul suo profilo frasi offensive dirette ad una persona e per tal fatto gli veniva contestato il reato di cui all'articolo 595 del codice penale con l'aggravante dell'articolo 13 della legge 47/1948; il GUP ritenendo la questione non di sua competenza, in quanto non prevedeva l'udienza preliminare bensì la citazione diretta a giudizio, con ordinanza disponeva la restituzione degli atti al pubblico ministero.

Il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per Cassazione motivando una non dovuta regressione del procedimento penale.

La diffamazione aggravata dal mezzo di pubblicità e la diffamazione a mezzo stampa

Gli Ermellini di Piazza Cavour accogliendo il ricorso adducevano che "il giudice dell'udienza preliminare non - aveva - neppure qualificato erroneamente il fatto contestato all'imputato

. Infatti, se, come ripetutamente affermato nella giurisprudenza di legittimità, anche la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca Facebook integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'articolo 595, 3 comma, poiché questa modalità di comunicazione di un contenuto informativo suscettibile di arrecare discredito alla reputazione altrui, ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone (omissis), tuttavia, proprio queste peculiari dinamiche di diffusione del messaggio screditante, in linea con la loro finalizzazione alla socializzazione, sono tali da suggerire l'inclusione della pubblicazione del messaggio diffamatorio sulla bacheca Facebook
nella tipologia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità, che ai fini della tipizzazione della circostanza aggravante di cui all'articolo 595, comma 3, il codificatore ha giustapposto a quella del mezzo della stampa.

La Cassazione fonda il suo ragionamento sul fatto che Facebook rappresenta un "servizio di rete sociale basato su una piattaforma software scritta in vari linguaggi di programmazione, che offre servizi di messaggistica privata ed instaura una trama di relazioni tra più persone all'interno dello stesso sistema".

Il ragionamento adottato dalla V Sezione riprende il consolidato orientamento delle Sezioni Unite relativamente al significato riconosciuto alla "stampa", che esclude anche i social networks, non elevando questi a mezzi di stampa. E la ragione per la quale si è avuta questa esclusione sta nel fatto che la stampa, anche online, è caratterizzata dall'aspetto di informazione professionale, che difatti manca nel contesto del social network.

Avv. Francesca Servadei

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Cassazione, sentenza n. 4873/2017

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