Per la Cassazione va dimostrata la negligenza e il nesso tra questa e la presumibile vittoria della causa

di Lucia Izzo - Il cliente che vuole essere risarcito dovrà provare, non solo, la negligenza dell'avvocato, ma anche il nesso tra questa e l'esito negativo del giudizio; in altre parole, dovrà dimostrare che se fosse stata tenuta la diligenza richiesta al professionista egli avrebbe vinto la causa. Ciò vale sia in caso venga richiesto il risarcimento del danno sia se si pretende di non versare gli onorari all'avvocato e di riottenere le somme anticipategli.


Il legale, nella prestazione dell'attività professionale, sia questa configurabile come adempimento di un'obbligazione di risultato o di mezzi, è obbligato, a norma dell'art. 1176 c.c., a usare la diligenza del buon padre di famiglia.


La violazione di tale dovere comporta inadempimento contrattuale, del quale il professionista è chiamato a rispondere anche per la colpa lieve (salvo che nel caso in cui, a norma dell'art. 2236 c.c., la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà) e, in applicazione del principio di cui all'art. 1460 c.c., la perdita del diritto al compenso.


Tuttavia, tale l'eccezione d'inadempimento può essere opposta dal cliente all'avvocato che abbia violato l'obbligo di diligenza professionale purché la negligenza sia stata tale da incidere sugli interessi del cliente, non potendo il professionista garantire l'esito comunque favorevole auspicato dal cliente, ed essendo contrario a buona fede l'esercizio del potere di autotutela ove non sia pregiudicata la "chance" di vittoria in giudizio.


Lo ha rammentato la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nella sentenza n. 7309/2017 (qui sotto allegata) che ha visto coinvolti un avvocato e il suo cliente. Quest'ultimo, gallerista d'arte, aveva fatto causa al Condominio in cui era ubicata la sua attività, lamentando che a causa della rottura di un tubo di scarico, lo studio si era allagato provocando, tra l'altro, ingenti danni alle sue duemila opere d'arte.


Tuttavia, all'esito del giudizio, il cliente aveva ottenuto solo il pagamento di poco più di 9mila euro a fronte della richiesta di danni per circa ventisei miliardi di vecchie lire: ciò, in quanto non era stato provato il nesso di causalità

tra l'allagamento e i danni riportati dalle opere d'arte presenti in galleria al momento del sinistro. Da qui l'iniziativa contro il professionista che, invece, aveva chiesto e ottenuto un decreto ingiuntivo contro l'assistito per chiedere gli onorari dell'attività svolta, somma quasi il quadruplo di quella ottenuta dal gallerista nel processo.


In sede di merito, il cliente aveva contestato il valore della causa in base al quale era stata elaborata la parcella e sostenuto la responsabilità professionale dell'avvocato stante una serie di mancate iniziative, come ad esempio la mancata articolazione di prova testimoniale sulla circostanza che i quadri fossero presenti nella galleria al momento dell'allagamento e la mancata richiesta di una consulenza tecnica d'ufficio.


Rigettata la sua domanda in sede di merito, il cliente/gallerista spiega ricorso in Cassazione, ma anche per gli Ermellini la sua pretesa è infondata. Il cliente può legittimamente rifiutarsi di corrispondere il compenso

all'avvocato quando costui abbia espletato il proprio mandato incorrendo in omissioni dell'attività difensiva che, sia pur sulla base di criteri necessariamente probabilistici, risultino tali da aver impedito di conseguire un esito della lite altrimenti ottenibile.


Una simile verifica prognostica, nel caso di specie, risulta fondamentale in quanto il ricorrente, nel proporre opposizione a decreto ingiuntivo, aveva sollecitato non solo l'affermazione della inesistenza del diritto del professionista al compenso richiesto per effetto del suo inadempimento, ma aveva anche richiesto la condanna del medesimo alla restituzione di quanto già corrisposto per l'esecuzione della prestazione professionale.


La Cassazione ha più volte affermato che "la responsabilità professionale dell'avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, cod. civ., da commisurare alla natura dell'attività esercitata".


Il professionista, dunque, non può e non è tenuto a garantire l'esito comunque favorevole auspicato dal cliente, quindi il danno derivante dalle sue eventuali omissioni è ravvisabile solo se, in base a criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito, secondo un'indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata e immune da vizi logici e giuridici.


Nel caso esaminato la Corte d'appello aveva svolto una valutazione in termini di prognosi postuma, affermando non era stato dimostrato che se la prova testimoniale fosse stata dedotta e ammessa, il ricorrente stesso avrebbe ottenuto l'importo che si attendeva o comunque un importo sensibilmente superiore a quello riconosciuto dal Tribunale nella causa avente a oggetto i danni arrecati dall'allagamento alla galleria d'arte.


In particolare, l'appellante non ha neppure spiegato quale avrebbe dovuto essere, esattamente, il contenuto della prova testimoniale diretta a dimostrare i danni subiti dalle opere d'arte custodite nella galleria, né ha offerto alla Corte elementi tali da dimostrare che la prova testimoniale per dimostrare i danni avrebbe avuto successo. Infine, non è stato neppure dimostrato, seppur approssimativamente, quali e quante opere fossero rimaste custodite nell'immobile e quante, in conseguenza dell'allagamento, fossero rimaste danneggiate.

Vedi anche: La responsabilità dell'avvocato: un anno di pronunce

Cass., II sez. civ., sent. n. 7309/2017

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