Per il Cnf, il certificato deve dimostrare l'assoluto impedimento del professionista a comparire all'udienza disciplinare

di Redazione - L'impedimento dell'avvocato "a comparire all'udienza disciplinare non può ritenersi sussistente qualora generico e non documentale e lo stesso impedimento non può ritenersi sussistente anche qualora non sia supportato da certificato medico che dimostri l'assoluto impedimento del professionista a comparire". Lo ha stabilito il Consiglio Nazionale Forense, con la recente sentenza n. 153/2016 (pubblicata il 21 marzo 2017 sul sito istituzionale e qui sotto allegata), dichiarando inammissibile il ricorso di un avvocato avverso la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività a tempo indeterminato disposta dal Coa di Roma.

Tra le altre doglianze lamentate dal professionista, che eccepiva la nullità del procedimento relativo al mancato pagamento di diversi contributi di iscrizione annuali, c'era anche la nullità per omessa convocazione e mancata considerazione della propria richiesta di rinvio della trattazione del procedimento a causa dell'asserita impossibilità a partecipare per problemi di salute.

Sennonchè, dal certificato medico, a detta del Coa, risultava solo che l'avvocato necessitasse di 3 giorni di riposo e cure (per una ipertrofia prostatica benigna), ma non era dimostrato il carattere assoluto dell'impedimento, tale, quindi, da comportare la totale impossibilità a partecipare all'udienza.

Per il Cnf tale assunto va confermato, giacchè, una siffatta certificazione, ritiene il consiglio richiamando la giurisprudenza di legittimità in materia (cfr., tra le altre, Cass. SS.UU., n. 1715/2013), non consente "in alcun modo, di fondare il presupposto di un legittimo impedimento, che deve essere di carattere assoluto".

Cnf, sentenza n. 153/2016

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