Come per i social network. E per la Cassazione la diffusività c'è anche se si tratta di siti destinati ad operatori specifici

di Valeria Zeppilli - Usare un blog per denigrare gli altri fa scattare il reato di diffamazione aggravata. E lo sa bene una studentessa universitaria che, dopo aver accusato sul web una ricercatrice di plagio, si è vista comminare una pesante sanzione penale, corredata della condanna al risarcimento della parte civile.

Con la sentenza numero 8482/2017 depositata il 22 febbraio (qui sotto allegata), la Corte di cassazione ha infatti respinto il ricorso presentato dalla ragazza avverso la pronuncia del giudice di secondo grado, ricordando che l'uso dei social network, con conseguente diffusione di messaggi sul web, è un mezzo idoneo ad aggravare il reato di diffamazione.

Il fatto che alcuni siti utilizzati fossero destinati ad operatori universitari, poi, non toglie nulla alla diffusività delle notizie in un ambito estremamente largo. Per la Cassazione, infatti, deve considerarsi tale quello di riferimento. Oltretutto, molti altri non lo erano ma anzi: erano consultabili da una platea molto ampia di soggetti.

Dinanzi a tali argomentazioni non regge la tesi della studentessa, in forza della quale la giurisprudenza avrebbe più volte affermato l'inapplicabilità delle disposizioni sulla diffamazione a mezzo stampa al web: non si deve infatti confondere la diffamazione aggravata in quanto provocata con il mezzo della stampa con l'offesa che invece è procurata con altro mezzo di pubblicità. Sebbene sia l'una che l'altra fattispecie siano disciplinate dal comma 3 dell'articolo 595 c.p., ciò non vuol dire che la categoria dei mezzi di pubblicità possa esaurirsi nel concetto di stampa. Essa, infatti, è più ampia e ricomprende tutti i sistemi di comunicazione e diffusione che rendono possibile la trasmissione del contenuto diffamatorio a un numero elevato di persone.

Corte di cassazione testo sentenza numero 8482/2017
Valeria Zeppilli

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