Inizia la fase 2 della riforma. Il Governo torna a parlare di pensioni per tutelare i giovani con carriere discontinue

di Lucia Izzo - Il tema delle pensioni torna nuovamente al centro dell'attenzione sul tavolo del Governo. Il ministro del Lavoro ha nei giorni scorsi incontrato i segretari generali dei sindacati per discutere i profili della cosiddetta "fase 2" della riforma pensionistica, che esecutivo, Cgil, Cisl e Uil avevano già approntato lo scorso autunno in un verbale d'intesa. 

In particolare, l'occasione sarà cruciale per confrontarsi e concretizzare il progetto "per la definizione di ulteriori misure di riforma del sistema di calcolo contributivo, per renderlo più equo e flessibile, per affrontare il tema dell'adeguatezza delle pensioni dei giovani lavoratori con redditi bassi e discontinui, per favorire lo sviluppo del risparmio nella previdenza integrativa, mantenendo la sostenibilità finanziaria e il corretto rapporto tra generazioni insiti nel metodo contributivo". 

A preoccupare, infatti, è proprio la questione sulla copertura pensionistica dei giovani lavoratori, spesso precari se non del tutto disoccupati, o vincolati al sistema dei voucher, con la misura dei contributi versati condizionata dalle "carriere discontinue". 

L'intenzione, come si legge nell'accordo Governo-sindacati siglato il 28 Settembre 2016, è quella di "interventi sulla previdenza complementare, volti a rilanciarne le adesioni, a favorire gli investimenti dei fondi pensione nell'economia reale". 

La soluzione per i giovani potrebbe essere quella di realizzare una pensione minima garantita di tipo contributivo, una "pensione contributiva di garanzia", e di agire favorendo una maggiore flessibilità in uscita all'interno del sistema contributivo, destinata a coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995. 

Una possibilità, quest'ultima, consentita dalla riforma Fornero, ma che, paradossalmente, è fruibile soltanto in caso di redditi elevati: infatti, per accedere alla pensione anticipata, ai lavoratori la cui carriera sia iniziata dopo la fine del 1995, servono 63 anni e 7 mesi di età e 20 anni di contribuzione versata

Tuttavia, è altresì previsto un c.d. importo soglia: la rata pensionistica maturata, infatti, non potrà essere inferiore a 2,8 volte il valore dell'assegno minimo sociale, ossia non inferiore a circa 1.255 euro lordi al mese. Un tale vincolo, considerati anche i richiesti 20 anni di contribuzione, può essere soddisfatto solo da lavoratori che hanno goduto di retribuzioni elevate nel corso della propria carriera. 

Se si rimuovesse quest'ostacolo, auspica il tavolo d'intesa, e si abbassasse l'importo soglia a 1,5 volte il valore dell'assegno sociale (pari a 672 euro al mese), sarebbe sicuramente un numero maggiore di lavoratori a poter godere di una maggiore flessibilità in uscita. 



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