Il Tribunale di Paola prende una netta posizione, diversa da quella di altri uffici, sulle conseguenze del nuovo art. 83, co. 3-bis, d.p.r. 115/2002

di Valeria Zeppilli - In materia di gratuito patrocinio, l'entrata in vigore del nuovo articolo 83, comma 3-bis, del d.p.r. n. 115/2002 ha spaccato la giurisprudenza: è ammissibile l'istanza di liquidazione del compenso presentata dal difensore patrocinante successivamente all'udienza di precisazione delle conclusioni?

Il problema, nel dettaglio, sorge dalla formulazione del comma dibattuto, il quale afferma che "il decreto di pagamento è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta".

Con una netta inversione di rotta rispetto a quella seguita da altri Tribunali (tra i quali quello di Milano), il Tribunale di Paola si è recentemente schierato nel senso dell'ammissibilità di una simile istanza, raccogliendo subito consensi presso altri uffici.

Con decreto del 14 ottobre 2016 qui sotto allegato, il giudice Dott. Franco Caroleo (che si ringrazia per la cortese segnalazione) ha in particolare sottolineato che l'istanza di liquidazione dei compensi per gratuito patrocinio non soggiace ad alcuna decadenza: le ipotesi di decadenza, infatti, devono essere tipiche ed espresse, mentre nell'articolo 83 mancano del tutto.

Oltretutto, per il Tribunale, non è possibile affermare che il giudice, dal momento in cui il giudizio dinanzi a sé giunge a chiusura, si spoglia della potestas decidendi e, di conseguenza, non ha più neanche il potere di provvedere alla liquidazione.

Infatti, con esclusivo riferimento al difensore patrocinante, la legge stabilisce che l'onorario e le spese vanno liquidate con decreto di pagamento, che, come chiarito più volte dalla Corte di cassazione, è l'unica sede in cui la liquidazione può avvenire, a prescindere dal fatto che il giudizio sia stato già definito con sentenza.

La posizione del difensore è quindi profondamente diversa da quella del c.t.u., con riferimento al quale è stato effettivamente stabilito che il giudice perda il potere di liquidazione del compenso una volta emanato il provvedimento che chiude il giudizio dinanzi a sé.

E ciò non solo in forza di quanto previsto dal d.p.r. n. 115/2002 con specifico riferimento al patrocinante, ma anche considerando più in generale che "tra la liquidazione del compenso del c.t.u. e quella disposta a favore del difensore che ha assistito la parte ammessa al beneficio non si ravvisa un'omogeneità strutturale tale da giustificare l'analogia di disciplina".

Oltretutto, conclude il Tribunale di Paola, l'interpretazione preclusiva deve essere rigettata anche per ragioni di economia processuale.

Basti pensare, riportando le parole del giudice, che "ove dovesse emergere la necessità di disporre gli accertamenti di cui agli artt. 79, co. 3, e 127, co. 4, D.P.R. n. 115/2002 per verificare l'effettività e la permanenza delle condizioni previste per l'ammissione al patrocinio, il giudice, per non perdere il potere di delibare sull'istanza di liquidazione, dovrebbe attendere l'esito di tali indagini (spesso di non poco momento) prima di pronunciare la sentenza, con probabili dilatazioni dei tempi decisori; oppure, nel caso in cui invece il giudice non intendesse procrastinare la definizione del giudizio, esaurendo così il potere di conoscere dell'istanza di liquidazione, il difensore potrebbe sì far valere comunque le proprie pretese con gli strumenti di tutela ordinari e generali (cfr. Cass. n. 7633/2006), ma si arriverebbe alla spiacevole conseguenza per cui tutte le richieste di liquidazione ritenute bisognevoli di accertamenti finanziari si trasformerebbero in altrettanti procedimenti ordinari o di ingiunzione idonei ad aggravare la già critica situazione dei ruoli del contenzioso civile".


Tribunale di Paola testo decreto del 14 ottobre 2016
Valeria Zeppilli

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