I diritti del convivente di fatto sulla casa in cui si svolge la convivenza secondo la Cassazione e la legge Cirinnà

Dott.ssa Federica Morabito - Le convivenze more uxorio sono state oggetto di molte pronunce, nel corso degli anni, da parte delle corti internazionali, territoriali e della stessa Corte di Cassazione.

Difatti, tali rapporti, con il tempo, per la loro diffusione, sono stati frutto di un vero e proprio fenomeno sociale, segno evidente di una comunità che cambia esigenze, e, come accade in queste circostanze, dapprima è affidato alla prassi dei Tribunali e alla dottrina l'arduo compito di interpretare la legge in luogo di istituti del tutto nuovi.

La legge n. 76 del 2016, che disciplina, per la prima volta, le unioni di fatto, ha mutuato da giurisprudenza e dottrina espresse sull'argomento non solo i diritti e i doveri reciproci dei conviventi more uxorio, ma anche la stessa definizione.

All'art.1, comma 36 si legge che "si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile".

La suddetta legge è il frutto dell'orientamento maggioritario e diffuso, secondo cui tali unioni fossero formazioni sociali meritevoli di tutela, in ossequio all'art.2 Cost. e art. 8 CEDU.

Tuttavia, sorge spontaneo interrogarsi su quali siano i diritti del convivente sul bene immobile di proprietà esclusiva dell'altro; ossia, potrebbe il convivente esperire l'azione ex art.1168 c. c., nel caso in cui gli fosse impedito il rientro in casa dal convivente - proprietario?

La questione de qua è stata oggetto di un vivace dibattito.

Dapprima, la giurisprudenza di legittimità si è mostrata restia nel dare una qualifica diversa da quella di ospite al convivente non proprietario, sostenendo l'impossibilità di tale rapporto di far sorgere un possesso nei confronti della casa di abitazione, inquadrando tali situazioni nell'adempimento, piuttosto, di obbligazioni naturali, da parte del partner proprietario nei confronti dell'altro.

Successivamente, la giurisprudenza di legittimità ha cambiato nettamente opinione, sostenendo che il convivente more uxorio non sia un semplice ospite, poiché, in virtù della stabilità della convivenza, seppur non si possa parlare di un diritto possessorio autonomo, quest'ultimo è un detentore qualificato

E, come tale può ricorrere all'azione ex art.1168 c. c., secondo comma.

Difatti, nella sentenza n. 7214 del 2013, della Corte di Cassazione, è chiarito che la convivenza more uxorio determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su un interesse proprio ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità; conseguentemente, l'estromissione violenta o clandestina del convivente dall'unità abitativa, compiuta dal partner, giustifica il ricorso alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l'azione di spoglio nei confronti dell'altro quand'anche il primo non vanti un diritto di proprietà sull'immobile che, durante la convivenza, sia stato nella disponibilità di entrambi.

Tale concetto è stato ribadito, con ancora più incisività, nella pronuncia del 15 settembre 2014, n. 19423, della Suprema Corte.

L'indirizzo giurisprudenziale da ultimo formatosi è, d'altronde, quello che meglio interpreta le esigenze sociali odierne e restituisce dignità al rapporto stesso.

Si consideri, da ultimo che, la legge 76/2016, prevede al comma 61, per le coppie che abbiano deciso di addivenire ad un contratto di convivenza che nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l'abitazione

Dott.ssa Federica Morabito

Studio Legale Aschi, Roma

fmorabito.law@gmail.com

06.85300776


Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: