Nota di commento alla sentenza della Corte di Cassazione n. 15269 del 25.07.2016

Avv. Francesco Pandolfi - Inps e indennità di accompagnamento: una prestazione dove l'intervento assistenziale è rivolto alla famiglia e non al soggetto minorato nelle sue capacità di lavoro (leggi anche: "Inps e Cassazione: indennità di accompagnamento e indennità di frequenza"). La giurisprudenza è costante nel dire che lo scopo di questa forma di intervento è incoraggiare il nucleo familiare di sostengo, affinché si eviti il ricovero della persona in istituti di cura ed assistenza (con conseguente diminuzione della relativa spesa sociale).

Diritto all'indennità

Il diritto all'indennità di accompagnamento spetta tanto nel caso in cui il bisogno di aiuto del terzo si manifesti con problemi di tipo fisico, quanto per malattie di carattere psichico.


Dubbi sono sorti per la corretta definizione della nozione di incapacità di compiere autonomamente le comuni attività del vivere quotidiano con carattere continuo.


Interrogativi che però sono stati fugati dall'attenta analisi dei magistrati, sempre più spesso chiamati a pronunciarsi in questa delicata materia.

Il caso

E' stato chiarito che la nozione comprende anche le varie ipotesi dove la necessità di fare ricorso all'aiuto di un terzo si manifesti nel corso della giornata, ogni volta che il soggetto debba compiere una determinata attività del quotidiano, per la quale non può fare a meno dell'aiuto.


In pratica: fasi di attesa (assistenza passiva) e fasi attive.


La Corte di Cassazione ha poi precisato (sentenza n. 15269/2016 in commento) i casi di riconoscimento dell'indennità per le malattie psichiche.

Si tratta di un esteso numero di casi possibili: in effetti a giudizio della Corte l'indennità deve essere riconosciuta anche in favore di chi, pur capace di compiere atti quali il vestirsi, nutrirsi e simili, abbia disturbi della sfera intellettiva, cognitiva e volitiva e pertanto necessiti della presenza costante di un accompagnatore.


Un giudizio preciso quello della Cassazione, diverso da quello espresso in precedenza dalla Corte di Appello sullo stesso caso.


I giudici di secondo grado (sentenza n. 6380/2013 Corte di Appello di Napoli) hanno infatti affermato che il deficit intellettivo di grado medio e psicosi schizofrenica in trattamento, restituiscono l'immagine di una persona affetta da crisi non frequenti e, quindi, non meritevole di assistenza.


Una valutazione questa ritenuta non adatta alla concreta circostanza esaminata: in effetti, ha ricordato la Corte di Cassazione, anche se l'invalido è in grado di compiere gli atti elementari della vita quotidiana, può essere ugualmente necessaria la presenza di un accompagnatore quando, in ragione di disturbi psichici non sia in grado di determinarsi in autonomia (ad esempio, per salvaguardare la propria salute e la propria dignità personale senza mettere in pericolo se stesso o gli altri).


Un definitiva, una sentenza di secondo grado che si discosta dai principi chiariti e dalle stesse conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, il quale si è espresso invece per la "necessità di assistenza continua".


In conclusione

La sentenza della Corte di Appello viene dichiarata affetta da vizio di motivazione e falsa applicazione della L. n. 18/80 art. 1; cassata e rinviata alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.

E in casi simili?

Se si giunge alla Corte di Cassazione dopo un esito in appello come quello descritto, denunciare il vizio di motivazione della sentenza di secondo grado e la falsa applicazione della legge citata.

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Francesco Pandolfi
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Si occupa principalmente di Diritto Militare in ambito amministrativo, penale, civile e disciplinare ed и autore di numerose pubblicazioni in materia.
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