Scatta l'abbandono di persone incapaci per il figlio che omette di prestare cura e assistenza al genitore in difficoltà

di Marina Crisafi - Se il figlio non aiuta il genitore che si trova in difficoltà scatta il reato di abbandono di persone incapaci. Lo ha affermato il tribunale di Firenze (con la recente sentenza n. 3964/2016) confermando la condanna nei confronti di un uomo che si era disinteressato totalmente della propria madre, affetta da psicosi cronaca con deficit cognitivo, e lasciata a vivere isolata e in stato di degrado sia morale che materiale.

Per il giudice, il disinteresse mostrato dall'uomo era da ritenersi volontario, per cui nessun dubbio sul fatto che l'omissione di prestare cura e assistenza al genitore in difficoltà, pur sapendo che egli non avrebbe potuto provvedere a se stesso, fosse idonea a far scattare l'ipotesi di reato ex art. 591 c.p.

La giurisprudenza in materia

La pronuncia della sezione penale fiorentina si pone, del resto, perfettamente in linea con l'indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, per la quale, il delitto di cui all'art. 591 del codice penale è integrato allorquando un soggetto tenga condotte contrarie all'obbligo giuridico di cura sullo stesso gravante e si verifichi un pericolo per la persona trascurata.

Proprio di recente, ciò è stato affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 44098/2016, confermando la condanna, per abbandono di persone incapaci, nei confronti di una figlia che aveva lasciato il padre anziano da solo (leggi: "Cassazione: lasciare il padre anziano da solo è reato").

A nulla è valso, nel caso di specie, la lamentela della donna che l'obbligo di assistenza al genitore non gravasse sulla stessa, in quanto il padre non era affidato alla sua custodia.

Il figlio, infatti, riveste una posizione di garanzia nei confronti del genitore. Il dovere giuridico, oltre che morale, di cura ravvisabile in capo al primo nei confronti del secondo, deriva anzitutto dalla "corretta interpretazione sistematica delle norme di livello costituzionale riguardanti il riconoscimento della famiglia come società naturale (art. 29 Cost.), il suo inquadramento tra le formazioni sociali ove si svolge la personalità dei singoli e l'adempimento dei doveri di solidarietà sociale (art. 3 Cost.) - nonché - da quelle del codice civile che impongono il dovere di rispetto dei figli verso i genitori, che diventa concretamente stringente in caso di stato di bisogno ed incapacità del singolo a provvedere al proprio mantenimento (art. 433 c.c.)". A tali principi si aggiungono le norme contenute nel codice civile sull'amministrazione di sostegno, dirette ai figli, per l'attivazione di meccanismi giuridici di protezione dei genitori non autonomi.

Il tutto in chiara armonia con l'antico ma chiaro indirizzo della giurisprudenza in materia, che ha ritenuto "il valore etico sociale della sicurezza personale come bene/interesse tutelato dalla norma incriminatrice (591 c.p.), senza porre limiti nell'individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di assistenza e cura" (cfr. Cass. n. 290/1993).

La norma di cui all'art. 591 c.p. tutela, infatti, il valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo e in questa prospettiva "nessun limite si pone nella individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e di assistenza che realizzano la protezione di quel bene e che si desumono dalle norme giuridiche di qualsivoglia natura, da convenzioni di natura pubblica o privata, da regolamenti o legittimi ordini di servizio, rivolti alla tutela della persona umana, in ogni condizione ed in ogni segmento del percorso che va dalla nascita alla morte".

Ad ogni situazione che esige detta protezione fa riscontro uno stato di pericolo che esige un pieno attivarsi, sicché ne deriva che ogni abbandono diventa pericoloso e l'interesse risulta violato anche quando sia solo relativo o parziale.


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