Per la Corte Costituzionale va confermata la legittimità del contributo di solidarietà maggiore a carico dei legali in pensione rispetto agli attivi

di Marina Crisafi - I contributi di solidarietà più alti pagati dagli avvocati in pensione sono legittimi. A sancirlo è la Consulta, con l'ordinanza n. 254/2016, depositata ieri (qui sotto allegata), respingendo per manifesta inammissibilità il doppio ricorso contro il maggiore prelievo solidaristico posto a carico dei legali pensionati, rispetto a quelli ancora attivi.

A rimettere la questione di costituzionalità davanti alla Corte Costituzionale è il tribunale di Napoli nell'ambito di un giudizio avviato da un avvocato, pensionato di vecchiaia nel 1995, ossia nello stesso periodo in cui veniva avviata la "privatizzazione" delle casse professionali (cfr. d.lgs. n. 509/1994).

Il ricorrente sosteneva che l'innalzamento progressivo del contributo di solidarietà (dal 3% al 7% nell'arco di sei anni) incideva non solo sull'effettiva finalità previdenziale dell'assegno pensionistico ma altresì sull'uguaglianza tra gli iscritti, atteso che tale contributo, per gli avvocati non ancora in pensione era rimasto fermo alla percentuale d'esordio.

Anche se hanno convinto il tribunale partenopeo, le ragioni dell'avvocato, però, vengono confutate dalla Consulta alla radice e ciò per due motivi.

Anzitutto, sotto il profilo giuridico-formale, si legge nell'ordinanza, il prelievo è stato previsto dai regolamenti della Cassa forense, a cominciare dal marzo 2006 (con un'aliquota pari al 3% per tutti gli iscritti, indipendentemente dalla quiescenza), per proseguire con i regolamenti del 2008 e del 2012, con i quali il contributo veniva innalzato ma solo per i pensionati, lasciando invariato quello per gli attivi. Una modalità regolamentare che, secondo la Corte, va ricondotta "ad un processo di privatizzazione degli enti pubblici di previdenza e assistenza che si inserisce nel contesto del complessivo riordinamento o della soppressione di enti previdenziali, in corrispondenza ad una direttiva più generale volta ad eliminare duplicazioni organizzative e funzionali nell'ambito della pubblica amministrazione (sentenza n. 15 del 1999)"; assetto realizzato attraverso una "sostanziale delegificazione" della materia, che esula dalla giurisdizione della Consulta, "limitata alla cognizione dell'illegittimità costituzionale delle leggi ed atti aventi forza di legge - e che - non si estende a norme aventi natura regolamentare, come i regolamenti di 'delegificazione" (sentenza 427/2000)".

Quanto al secondo motivo, la risposta è negativa anche sul versante della richiesta di un tetto massimo al contributo di solidarietà. Si tratterebbe infatti, a detta del giudice delle leggi, di una "pronuncia additiva" che presuppone l'impossibilità di superare la "norma negativa" affetta da incostituzionalità, nonché l'esistenza di un'unica soluzione costituzionalmente obbligata", in particolare quando il petitum si connota, come nel caso di specie, "per un cospicuo tasso di manipolatività derivante anche dalla natura creativa e non costituzionalmente obbligata della soluzione evocata. Da qui la dichiarazione di manifesta inammissibilità della q.l.c.

Corte Costituzionale, ordinanza n. 254/2016

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