Il Tribunale di Roma concede al malato di epatite C l'acquisto del farmaco fuori dall'Italia destinato ad uso personale

di Lucia Izzo - È concessa l'importazione di un farmaco in Italia, acquistato via Internet per uso personale. Un'affermazione forte che trova fondamento in un'ordinanza del Tribunale di Roma (qui sotto allegata), sezione per il riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personal, del 2 settembre 2016.


La vicenda coinvolge un cittadino italiano affetto da epatite C, infezione cronica che negli ultimi anni ha visto emergere un'efficace terapia a base di Ledipasvir (90 mg) e Sofosbuvir (400 mg), associati in un'unica compressa (Harvoni) che in Italia ha un costo di 44mila euro, ma viene fornita gratuitamente ai pazienti più gravi con costo a carico del SSN (Servizio Sanitario Nazionale).


L'uomo, tuttavia, affetto da una forma di "lieve entità", avrebbe potuto avere accesso alla terapia solo dal 2017 e, per non attendere oltre, ha scelto di acquistare il farmaco generico da un distributore indiano al costo di 2500 euro. Una mossa economicamente conveniente che si è scontrata con i controlli doganali e con il sequestro del prodotto avviato dalla Procura di Roma all'arrivo in Italia presso l'aeroporto di Ciampino.


Da qui il ricorso volto a ottenere l'immediato dissequestro: il paziente, dalla sua, produce la documentazione che ne attesta le condizioni di salute e la necessità del farmaco, almeno per un primo ciglio, come dimostra la quantità ordinata.


Il collegio capitolino si esprime a favore della richiesta precisando che il reato contravvenzionale che è posto alla base del provvedimento di sequestro prevede la condotta di chi importa medicinali in assenza di autorizzazione al fine di metterli in commercio.


Pertanto, prosegue il Tribunale, l'importazione che costituisce reato è riferita esclusivamente all'attività di chi abbia introdotto nel territorio dello Stato medicinali per farne successivo commercio e non anche a chi, come nel caso di specie appare pacifico, li abbia introdotti per farne esclusivo uso personale.


In mancanza di giurisprudenza di legittimità, il giudice della Capitale fa riferimento ad altre sentenze di merito che ritengono l'illecita penale dell'importazione limitata ai casi di commercializzazione dei prodotti, sulla base, soprattutto, delle direttive comunitarie in materia che esplicitamente fanno riferimento ai medicinali destinati a essere immessi nel commercio (cfr. Tribunale Genova, 17 maggio 2010; Tribunale Bari, 30 gennaio 2012).


L'importazione di farmaci è, infatti, disciplinata dall'art. 6 del decreto legislativo 219/2006, il quale prevede che nessuno possa mettere in commercio su territorio nazionale medicinali che non siano stati autorizzati dall'Aifa o da un'autorità comunitaria.


Ciononostante, lo stesso testo del decreto 219/2006 afferma  esplicitamente che il campo di applicazione della normativa è limitato ai prodotti medicinali destinati al commercio e, difatti, l'importazione è sempre stata considerata dai giudici ai fini della vendita.


La quantità limitatissima dei prodotti importati, conclude il giudice, assieme all'accertata malattia del paziente e alla prescrizione medica prodotta, non possono far dubitare che i prodotti improntati fossero destinati all'uso esclusivamente personale.


Ciononostante, per gli esperti il problema non è del tutto risolto. L'ordinanza, infatti, non prende in considerazioni alcune questioni importanti che impongono il fermo doganale, come fa notare Ivan Gardini, presidente Associazione EpaC Onlus: il divieto di acquisto di farmaci online con obbligo di prescrizione medica (cfr. art. 112 quater, co.1 e 2, d.lgs. 219/2006 cit.) e l'importazione tramite prescrizione medica (dm 11.2.1997) che in linea teorica non potrebbe avvenire poiché i farmaci in oggetto sono già registrati in Italia. 


Nonostante le criticità sul tema, legate al controllo della qualità, della filiera e della necessità terapeutica, sorge in relazione all'Harvoni e a questo genere di farmaci salvavita, il problema delle limitazioni all'accesso che, se modificato, potrebbe evitare questo tipo di importazione da parte dei pazienti, garantendo un accesso programmato, ma senza limitazioni ai pazienti per cui c'è, indubiamente, un problema di sicurezza.

Tribunale di Roma, ord. 2/9/2016

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