Per il Cnf, commette illecito disciplinare l'avvocato che acquista l'immobile del cliente trattenendo parte del mutuo ipotecario quale compenso

Avv. Laura Bazzan - Con sentenza n. 216 del 28.12.2015, pubblicata sul proprio sito il 17.09.2016 (e qui sotto allegata), il CNF si è conformato al proprio costante orientamento in tema di rapporti tra professionista e cliente, positivizzato dall'art. 23 c. 3 ncdf, a mente del quale "l'avvocato, dopo il conferimento del mandato, non deve intrattenere con il cliente e con la parte assistita rapporti economici, patrimoniali, commerciali o di qualsiasi natura, che in qualunque modo possano influire sul rapporto professionale, fatti salvi gli accordi sulla definizione del compenso ex art. 25 cdf". In applicazione del predetto principio, confermava la sanzione disciplinare della sospensione, ancorché riducendola da otto a quattro mesi, ad un avvocato che aveva acquistato dal proprio cliente un immobile di proprietà

del medesimo mediante accensione di un mutuo di pari importo ed impiegato parte delle somme per estinguere il precedente mutuo, trattenendo per sé la differenza a deconto sui compensi; l'avvocato aveva, altresì, concluso con il cliente-venditore un contratto di locazione mai registrato senza porre l'immobile a disposizione del conduttore, emettendo a fronte della propria attività professionale parcelle sproporzionate "con ciò violando le disposizioni degli artt. 5, 6, 7 canone II, 35 canone II e 43 canone II cfd" (ora artt. 9, 10, 11 29 ncdf).

A nulla sono valse le difese dell'incolpata che deduceva di essersi prestata alla conclusione del negozio simulato privo di patto di retrocessione, stipulando il mutuo con la banca ed accollandosi anche alcune spese incombenti sul venditore, invitandolo a ritirare dall'immobile i suoi effetti personali stante l'irregolarità nel pagamento dei canone, e che la decisione di non registrare il contratto era stata presa nell'interesse dello stesso cliente, per evitargli il pagamento di imposte su di un reddito fittizio, mentre le parcelle risultavano commisurate all'ampia e difficoltosa attività svolta. Ritenendo provata la commistione degli interessi personali e professionali a discapito dell'assistito, il CNF ha giudicato la condotta dell'avvocato che si è trovato ad agire al contempo come consulente e come controparte del proprio cliente "manifestamente contraria ai doveri che gravano sull'avvocato di evitare conflitti di interessi con la parte assistita e di astenersi, dopo il conferimento del mandato, dallo stabilire con il proprio assistito rapporti di natura economica che possano, in qualunque modo, influire sul rapporto professionale, condizionando il rapporto tra avvocato e cliente e alterando lo stesso equilibrio dell'attività prestata dal professionista", mentre la mancata giustificazione sulla congruità del compenso denota "un comportamento contrario ai doveri di probità, dignità e decoro, che devono ispirare la condotta di ogni avvocato, richiedendo il pagamento di compensi manifestamente sproporzionati rispetto all'attività svolta e comunque eccessivi".

Cnf, sentenza n. 216/2015

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