Anche dopo la riforma del 2015 rimangono alcune questioni applicative sulle quali è opportuno soffermarsi

di Valeria Zeppilli - Uno degli strumenti più diffusi mediante i quali i crediti vengono recuperati è rappresentato dal pignoramento dello stipendio del debitore accreditato sul conto corrente.

Tuttavia non bisogna dimenticare che, senza alcun dubbio, fra i vari beni che possono essere oggetto di pignoramento lo stipendio è uno di quelli che maggiormente incide sulla vita quotidiana dei debitori.

Peraltro, considerato che non esiste un minimo vitale impignorabile, anche stipendi di esiguo ammontare possono astrattamente essere sfruttati come mezzo per recuperare dei crediti.

Proprio per tale motivo, il legislatore ha negli anni fissato dei limiti che circoscrivono l'applicabilità di una simile forma di tutela.

Da ultimo, nel 2015, la riforma contenuta nel decreto legge numero 83/2015 (sulla quale, a tal proposito, leggi: "I nuovi limiti al pignoramento di stipendi e pensioni accreditati sul conto corrente") ha previsto che le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, in caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale

, quando l'accredito è antecedente la data del pignoramento. Quando, invece, l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, in generale il pignoramento è possibile per massimo 1/5 dell'emolumento versato sul conto corrente. Peculiari sono il caso di pignoramento in concorso di più cause creditorie e il caso in cui l'azione deriva da crediti alimentari, per i quali, rispettivamente, il limite è quello massimo della metà della base pignorabile o quello autorizzato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato.

La riforma ha il merito di aver chiarito in maniera precisa quali sono i confini entro i quali è possibile procedere al pignoramento di tale bene fondamentale per il debitore.

Su alcune questioni, però, occorre ancora concentrare particolare attenzione.

Pensiamo innanzitutto al caso in cui lo stipendio sia già oggetto di cessioni volontarie o deleghe di pagamento.

Queste, infatti, non sono prese in considerazione nella determinazione dell'importo pignorabile, con la conseguenza che se il debitore ha uno stipendio di mille euro già gravato da una cessione volontaria del quinto (fatta, ad esempio, per l'acquisto di un auto), la quota che il debitore potrà pignorare sarà comunque di duecento euro e non di centosessanta euro (come sarebbe stato se la cessione del quinto volontaria avesse inciso sulla determinazione della quota pignorabile): non importa, infatti, che concretamente sul conto corrente del lavoratore a fine mese restano ottocento euro ma quello che importa è solo che la sua pensione, netta, è di mille euro.

Lo stesso dicasi nel caso in cui, contemporaneamente, sono eseguiti pignoramenti dello stipendio per più crediti.

In tale ipotesi, però, le somme sono assegnate dal giudice una di seguito all'altra, a meno che i crediti all'origine del pignoramento siano di diversa natura (ipotesi per la quale la regola dell'"accodo" non vale).

Un'ultima problematica sulla quale vale la pena soffermarsi è quella relativa alla circostanza in cui il lavoratore sia licenziato o si dimetta quando ancora sono in corso delle trattenute a titolo di pignoramento della quota di stipendio.

In tal caso, infatti, il pignoramento cessa, anche se il debito non è ancora stato estinto. Se, poi, il lavoratore trova un nuovo posto di lavoro, sarà necessario rinnovarlo.

Valeria Zeppilli

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