Osservazioni sul parere del Consiglio di Stato n. 1620 dell'11.07.2016

Avv. Francesco Pandolfi - C'è grande interesse sulla questione degli effetti della riabilitazione penale sul porto d'armi.


Ne abbiamo parlato varie volte e tanti altri Autori hanno espresso il loro pensiero.


Si tratta di una vicenda delicata e complicata allo stesso tempo. E anche abbastanza confusa.


Il Ministero dell'Interno vuole sapere come si deve interpretare l'art. 43 T.U.L.P.S., che regola casi dove non può essere concessa la licenza di portare armi, ad esempio quelli dove le persone sono condannate per furto, rapina, estorsione, violenza o resistenza all'autorità ed altri.


Ha chiesto un parere al Consiglio di Stato, che si è espresso l'11.07.2016.


Tutto è nato dal fatto che diversi giudici in Italia hanno emesso sentenze contrastanti sull'interpretazione dell'art. 43 combinato con l'art. 11 T.U.L.P.S. (norma in materia di autorizzazioni di polizia).


In sintesi, alcune sentenze hanno affermato che in caso di riabilitazione del condannato scompare l'effetto preclusivo previsto dall'art. 43: questo significa che, aiutandosi con una valutazione "discrezionale" l'amministrazione può rilasciare licenze di portare armi.


Prima di interpretare il pensiero del C.d.S., vediamo però che cos'è la riabilitazione.


La riabilitazione


E' una seconda possibilità: è quell'istituto che permette alla persona condannata e ravveduta di ottenere l'estinzione degli effetti penali della condanna e delle pene accessorie.


Fatta questa premessa, andiamo a curiosare più da vicino tra le pieghe del parere.


Il parere del Consiglio di Stato

La premessa del Consiglio è che le autorizzazioni di polizia e la materia delle armi sono distinte e regolate da norme diverse.

Poi dice: a chi è stato condannato per i reati gravi come quelli dell'art. 43 non può essere rilasciata la licenza di porto d'armi; se è stata rilasciata deve essere revocata. Non importa che sia intervenuta la riabilitazione.

A quanto sembra il parere è secco, preciso e rigido.

Ma passiamo oltre, perché c'è qualcosa di interessante in quanto vengono distinte situazioni diverse.

Le licenze già rilasciate sfruttando l'interpretazione "evolutiva" dell'art. 43 pare che hanno una sorte diversa, meno rigida per così dire.

Infatti, qui il Consiglio distingue alcuni casi.

Il primo.

Se esiste una sentenza che ha obbligato l'amministrazione a rilasciare la licenza, questa non può essere revocata.

Il secondo.

Se esistono sentenze (giudicati) che hanno obbligato l'amministrazione a valutare con discrezionalità la domanda di porto d'armi presentata da persona condannata per uno di quei reati "seri" e la licenza è stata rilasciata, non si può fare marcia indietro.

Cioè: per effetto di un giudicato, la licenza è stata rilasciata sull'affidabilità dell'interessato.

Il terzo.

Nel caso dell'interessato che ha la licenza e non ha impugnato un precedente diniego, l'amministrazione può revocarla facendo leva sulle rigide prescrizioni dell'art. 43.

Il quarto.

Se la licenza è stata rilasciata sulla base dell'attuale affidabilità del richiedente, la revoca è a rischio annullamento.


In pratica


Al di là del rigido art. 43, le considerazioni sui quattro punti citati richiamano l'attenzione su differenti situazioni.

In alcuni casi non impugnare un diniego potrebbe essere un problema, a quanto pare.

Quindi: occhio.


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Francesco Pandolfi
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Si occupa principalmente di Diritto Militare in ambito amministrativo, penale, civile e disciplinare ed и autore di numerose pubblicazioni in materia.
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