Tirata d'orecchie della cassazione ai giudici dell'appello che hanno omesso di considerare l'applicabilità dell'art. 131 bis

di Lucia Izzo - La violenza privata sulla fidanzata, avvenuta occasionalmente, è idonea ad essere considerata particolarmente tenue. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 34803/2016 (qui sotto allegata) accogliendo il ricorso di un uomo condannato in appello alla pena di due mesi di reclusione.

L'imputato era stato riconosciuto colpevole del reato di violenza privata in danno all'allora fidanzata, previo riconoscimento delle attenuanti generiche ritenute prevalenti rispetto all'aggravante dell'uso di un coltello.

Per il ricorrente, tuttavia, la disciplina dell'istituto ex art. 131-bis c.p. è certamente applicabile ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della norma; inoltre sottolinea che, nella fattispecie concreta, sussistevano tutte le condizioni per dichiarare il fatto particolarmente tenue, considerata la pena edittale, l'occasionalità dell'episodio, il danno particolarmente esiguo, la riconciliazione tra i due fidanzati (attualmente conviventi a seguito di matrimonio) e la misura della pena inflitta, pari quasi al minimo edittale, a seguito del riconoscimento delle attenuanti generiche.

Un ricorso che convince i giudici di legittimità, secondo cui la Corte d'Appello, pur in presenza di esplicita richiesta difensiva, ha omesso di considerare l'applicabilità alla fattispecie dell'art. 131-bis cod. pen.

Al riguardo occorre precisare che poiché la norma è stata introdotta dal d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, nel caso di specie in epoca successiva alla proposizione dell'appello, ma anteriore alla decisione (emessa il 29 aprile 2015 e relativa a fatto commesso il 13 ottobre 2008), la richiesta formulata direttamente in udienza, deve essere considerata ammissibile e doveva essere presa in esame dalla Corte territoriale.

Sotto il profilo del diritto sostanziale, precisa il Collegio, si è in presenza di una innovazione che disciplina l'esclusione della punibilità e che reca senza dubbio una disciplina più favorevole all'imputato, che trova quindi applicazione retroattiva, ai sensi dell'art. 2, quarto comma, cod. pen. e di ufficio, anche in caso di impugnazione inammissibile, come ritenuto recentemente dalle Sezioni unite, con riferimento all'ipotesi di ricorso per cassazione inammissibile

I giudici di secondo grado, a fronte di una esplicita richiesta di verifica sollecitata dall'appellante, avevano obbligo di pronunciarsi, affermano gli Ermellini, tanto più quando, come avvenuto nel caso di specie, ricorrano in astratto le condizioni di applicabilità del nuovo istituto e la motivazione della decisione impugnata esclusa che vi siano stati giudizi già espressi escludenti la particolare tenuità del fatto, riguardando la non punibilità soltanto quei comportamenti (non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti normativamente indicati risultino di così modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore considerazione in sede penale.

Nel caso esaminato, prevedendo il delitto di cui all'art. 610 cod. pen. (non tenendosi conto dell'aggravante di cui al comma due) la pena della reclusione fino a quattro anni, si rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 131-bis c.p. che riguarda i soli reati per i quali è prevista una una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni. Inoltre i giudici di merito hanno riconosciuto all'imputato anche le attenuanti generiche, in regime di prevalenza sull'aggravante contestata.

Pertanto, conclude la sentenza, costituisce difetto assoluto di motivazione la mancata pronuncia del giudice di appello sulla particolare tenuità del fatto, quando nell'atto impugnatorio o nel giudizio sia stata esplicitamente sollecitata una verifica sulla applicabilità del ridetto beneficio. Parola al giudice del rinvio circa la sussistenza della causa di non punibilità.

Cass., V sez. pen., sent. n. 34803/2016

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