Investimento dei profitti illeciti, epoca della commissione del reato presupposto, importanza dell'esistenza del concreto effetto dissimulatorio

di Giovanni Tringali - Il reato di autoriciclaggio è stato inserito dall'art. 3, comma 3, della Legge 15 dicembre 2014, n. 186 ed è entrato in vigore il primo gennaio 2015. Due recenti sentenze della Suprema Corte ci aiutano a capire i punti più delicati della nuova fattispecie di reato, si tratta della sentenza n. 3991 del 27 gennaio 2016 e della n. 33074 del 28 luglio 2016.

La norma

Art. 648-ter.1. Autoriciclaggio - c.p.

1. Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa.

2. Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

3. Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni.

4. Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.

5. La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell'esercizio di un'attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.

6. La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l'individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.

7. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648.

I punti chiariti

a. Attività economica o finanziaria

Con la richiamata sentenza n. 33074 viene chiarito che non costituisce né attività economica né attività finanziaria il mero deposito di una somma su una carta prepagata poiché è economica, secondo la indicazione fornita dal codice civile all'art. 2082, soltanto quella attività finalizzata alla produzione di beni ovvero alla fornitura di servizi; né tantomeno può ritenersi sussistere, nella condotta di versamento di somme in un conto corrente ovvero in una carta prepagata, un'attività "finanziaria": la nozione di attività finanziaria, di rilievo per la punibilità ai sensi della citata norma di cui all'art. 648 1 ter c.p., può ricavarsi dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (art. 106)[1], che individua quali tipiche attività finanziarie l'assunzione di partecipazioni (acquisizione e gestione di titoli su capitale di imprese), la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, la prestazione di servizi di pagamento (incasso e trasferimento di fondi, esecuzione di ordini di pagamento, emissione di carte di credito o debito), l'attività di cambiavalute.

b. L'ostacolo concreto all'identificazione della provenienza illecita dei beni

Posto che la norma sull'autoriciclaggio/autoreimpiego punisce soltanto quelle attività di impiego, sostituzione o trasferimento di beni od altre utilità commesse dallo stesso autore del delitto presupposto, occorre che queste attività abbiano la caratteristica specifica di essere "idonee" ad ostacolare concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa dei suddetti beni o altre utilità. Secondo i giudici, il legislatore ha delineato una condotta dotata di particolare capacità dissimulatoria, cioè idonea a fare ritenere che l'autore del delitto presupposto abbia effettivamente voluto effettuare un impiego di qualsiasi tipo, ma pur sempre finalizzato ad occultare l'origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto.

c. Investimento dei profitti

Le attività dirette all'investimento dei profitti, operate dall'autore del delitto contro il patrimonio, costituiscono post factum non punibili. La rilevanza penale delle condotte si deve circoscrivere ai soli casi di impiego, sostituzione o trasferimento che avvengano attraverso la re-immissione nel circuito economico-finanziario ovvero imprenditoriale del denaro o dei beni di provenienza illecita, finalizzate ad ottenere un concreto effetto dissimulatorio che costituisce quel quid pluris che differenzia la semplice condotta di godimento personale (non punibile) da quella di nascondimento del profitto illecito (e perciò punibile).

d. Epoca della commissione del reato presupposto

Secondo la Suprema Corte è irrilevante che la realizzazione del reato presupposto, da cui discendono i profitti illeciti, sia avvenuta in epoca antecedente l'entrata in vigore del reato di autoriciclaggio/autoreimpiego. Se il reato presupposto è stato commesso prima del 01/01/2015 mentre il reato di autoriciclaggio dei profitti illeciti viene consumato in data successiva, è improprio invocare il principio di irretroattività della legge penale di cui all'art. 2 c.p.[2]

Esempi

Caso 1

Tizio, nel 2014, rapina un milione di euro ad una banca. Conserva il bottino in un cassetto della sua scrivania fino a quando nel 2016 decide di utilizzare tale somma di denaro per pagare una costosa operazione chirurgica necessaria per salvare la vita al figlio.

Caso 2

Caio, nel 2013, truffa una serie di soggetti contattati su internet riuscendo a farsi accreditare delle somme di denaro su delle carte di credito prepagate intestate a soggetti di fantasia ma nella sua disponibilità. Dopo una lunga serie di trasferimenti su conti gioco e altre carte prepagate intestate a soggetti compiacenti, riesce a prelevare i contanti presso sportelli automatici di varie banche.

Caso 3

Sempronio, nella sua qualità di amministratore unico di una società commerciale, utilizza le somme risparmiate nel 2011 mediante la commissione del reato tributario di dichiarazione infedele, di cui all'art. 4 del d.lgs. 74/2000, versandole sul conto di una società estera al fine procedere all'acquisizione di partecipazioni della stessa.

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Nel primo caso Tizio potrebbe rispondere del reato di autoriciclaggio/autoreimpiego perché, come giustamente dice la Cassazione, riguardo al tempus commissi delicti una cosa è il reato presupposto da cui derivano i profitti illeciti e un'altra è il reato di autoriciclaggio/autoreimpiego. Non vi sono spazi logici per poter invocare la violazione del principio di irretroattività della legge penale posto che entrambi i reati (la rapina e l'autoriciclaggio/autoreimpiego) sono stati commessi durante la vigenza delle rispettive norme. Piuttosto, è di ostacolo, alla concreta imputazione di Tizio, il fatto di aver utilizzato il profitto della truffa per un fine personale e non certo per reimmetterlo nel circuito economico, finanziario o imprenditoriale.

Nel secondo caso vi è senza dubbio quella condotta richiesta dalla legge consistente nella dissimulazione definita nella norma con l'espressione "in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa". Diamo per assodato che Caio è mosso dall'intenzione di recidere quel cordone ombelicale che lega i profitti della truffa con i contanti finali che egli riesce a prelevare dagli istituti di credito. Ciò, tuttavia, non basta per dire che egli è responsabile di autoriciclaggio/reimpiego perché nulla sappiamo dell'uso che lo stesso ne ha fatto. Difatti, al comma 4, la norma dice che non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale. La responsabilità di Caio, allora, è subordinata all'accertamento della destinazione dei profitti derivanti dal reato presupposto. Secondo la Cassazione, l'irrilevanza penale delle condotte di sostituzione, trasferimento o reimpiego non si fermerebbe ai soli casi di mera utilizzazione o godimento personale ma si estenderebbe anche ai casi di investimento dei profitti illeciti nel senso che può esservi condotta punibile solo se sussistono contemporaneamente due condizioni verificatesi dopo il primo gennaio 2015:

1) la condotta dissimulatoria;

2) la reimmissione dei profitti nel circuito economico, finanziario o imprenditoriale.

Detto in altri termini, se Caio investe i profitti della truffa reimmettendoli nel circuito economico, finanziario o imprenditoriale senza però tenere una condotta dissimulatoria, ovvero utilizza per fini personali i profitti illecitamente ottenuti col reato presupposto pur avendo messo in atto una serie di sotterfugi per impedire l'identificazione della provenienza illecita del denaro, non è responsabile di autoriciclaggio/autoreimpiego.

Nel terzo caso, Sempronio dopo aver commesso un illecito tributario da cui derivano dei profitti per la società che amministra (ricordiamo che secondo la costante giurisprudenza il risparmio di imposta equivale al profitto del reato come se fosse un incremento patrimoniale), reimpiega tali profitti in una attività che può definirsi finanziaria. Per affermare la responsabilità di Sempronio in ordine al reato di autoriciclaggio/autoreimpiego occorre verificare se vi sia stata condotta dissimulatoria finalizzata ad occultare non tanto il reato presupposto (l'evasione fiscale) quanto l'origine delittuosa dei fondi così utilizzati, come potrebbe essere, ad esempio, l'aver trasferito il denaro su vari conti correnti tenuti presso banche aventi sedi in altrettante nazioni e infine accreditati nel conto corrente di una società avente sede legale in un c.d. paradiso fiscale. E' irrilevante che il reato tributario presupposto dell'autoriciclaggio/autoreimpiego sia stato consumato molto tempo prima (nel 2011). Inoltre, il fatto che siano già state realizzate condotte dirette ad ostacolare l'identificazione della provenienza illecita dei proventi poi autoriciclati/autoreimpiegati (cosa assolutamente normale nei delitti tributari) è ininfluente: ciò che conta è che il giudice procedente per l'autoriciclaggio accerti con il massimo rigore, in via incidentale, l'effettiva sussistenza e punibilità del reato fiscale presupposto e che ovviamente verifichi la sussistenza sia della condotta dissimulatoria sia della reimmissione dei profitti illeciti nel circuito economico, finanziario o imprenditoriale durante la vigenza dell'art. 648-ter-1.



[1] Da una nota della Banca d'Italia si ricava che l'esercizio nei confronti del pubblico in via professionale della attività di concessione di finanziamenti, assunzione di partecipazione, di intermediazione in cambi, così come definite dal Decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze del 17/2/2009, n. 29 (G.U. del 3.4.2009 S.G. n.78) è riservato agli intermediari finanziari iscritti nell'elenco generale previsto dall'art.106 T.U.B. Per attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma si intende (art. 3 del D.M. 17/2/2009, n. 29) la concessione di crediti, ivi compreso il rilascio di garanzie sostitutive del credito e di impegni di firma. Tale attività comprende, tra l'altro, ogni tipo di finanziamento connesso con operazioni di: · locazione finanziaria · acquisto di crediti · credito al consumo, così come definito dall'articolo 121 del T.U.B., fatta eccezione per la forma tecnica della dilazione di pagamento del prezzo svolta dai soggetti autorizzati alla vendita di beni e servizi nel territorio della Repubblica · credito ipotecario · prestito su pegno · rilascio di fideiussioni, l'avallo, l'apertura di credito documentaria, l'accettazione, la girata, l'impegno a concedere credito, nonché ogni altra forma di rilascio di garanzie e di impegni di firma. Sono esclusi le fideiussioni e gli altri impegni di firma previsti nell'ambito di contratti di fornitura in esclusiva e rilasciati unicamente a banche e intermediari finanziari.

[2] Art. 2 -c.p. Successione di leggi penali

1. Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato.

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