Il deposito in giudizio di atti irrilevanti ai fini della difesa e finalizzati solo a gettare ombre sul collega integrano violazione del codice deontologico

di Marina Crisafi - Va sanzionato l'avvocato che mette in cattiva luce il collega avversario, riferendo in giudizio notizie irrilevanti ai fini della difesa del cliente. È questo il principio affermato dal Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza n. 180/2015 (qui sotto allegata), pubblicata in questi giorni sul sito istituzionale, confermando la sanzione dell'avvertimento irrogata a un legale dal Consiglio dell'ordine di Genova.

Nella vicenda, il Coa aveva riconosciuto il professionista responsabile della violazione dei doveri di lealtà e correttezza ex art. 6 del Codice Deontologico, nonché dell'art. 29 (oggi art. 42 Ncdf), in quanto, all'udienza di un giudizio civile, aveva prodotto atti riguardanti l'avvocato difensore della controparte.

Nello specifico si trattava della copia della delibera del COA di Sanremo con la quale era stato aperto un procedimento disciplinare a carico del predetto avvocato per aver usato in scritti difensivi espressioni ritenute sconvenienti ed offensive verso l'incolpato e della copia della delibera con cui lo stesso Coa aveva disposto l'archiviazione di un esposto presentato dall'avvocato nei confronti del collega.

Entrambi gli atti suddetti non erano, però, per il Consiglio dell'ordine, "necessari ai fini del giudizio" in cui erano stati prodotti ed avevano pertanto "manifestamente la funzione di segnalare al giudice comportamenti dell'avvocato che si assumevano come censurabili".

Il legale si difendeva sostenendo che gli atti allegati avevano esclusivamente la funzione di rafforzare l'appello, avendo egli proposto nello stesso giudizio in cui le espressioni sconvenienti ed offensive venivano usate dal collega, appello incidentale chiedendo la riforma della sentenza di primo grado.

Ma la tesi non regge di fronte al Cnf.

Ai fini deontologici infatti, la documentazione presentata era priva di valenza probatoria, "trattandosi di deliberazione di apertura del procedimento, e non già di affermazione di responsabilità disciplinare". Per cui la produzione in giudizio era priva di rilievo nella controversia pendente e quindi diretta meramente "a mettere in cattiva luce" la persona dell'avvocato di controparte.

Secondo la giurisprudenza disciplinare, ha affermato inoltre il Cnf, "è configurabile la violazione dell'articolo 29 del CD.F. , disposizione che introduce chiaramente una limitazione all'esercizio del dovere di difesa, qualora la mera utilità di avvalersi di una notizia relativa alla persona del collega ai fini della tesi dedotta in un giudizio civile non integri il requisito della necessità dell'uso della notizia, richiesto invece dalla norma deontologica quale circostanza che consente di derogare al divieto (sent. 22.12.2008, n. 182)".

Da qui la conferma della responsabilità disciplinare dell'avvocato e l'applicazione della sanzione dell'avvertimento.

Cnf, sentenza n. 180/2015

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