Per la Ctp di Savona, l'attività va inquadrata tra le prestazioni retribuite anche se non riconosciuta ma è già polemica. Per il CDCP serve una legge

di Marina Crisafi - Anche le prostitute, come tutti i contribuenti, devono pagare le tasse e non rileva che l'attività svolta non sia regolamentata in Italia e che non sia presente tra i codici delle dichiarazioni dei redditi stabiliti dal fisco. In base alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea, infatti, l'attività rientra tra le prestazioni di servizi retribuite e inoltre se esercitata con carattere di abitualità, può essere comunque inquadrata nell'ampia previsione dell'art. 3, comma 1, secondo periodo, del d.p.r. n. 633/1972. Ad affermarlo è la recente sentenza pubblicata dalla prima sezione della Ctp di Savona (giudice Roberto Bertolo), n. 389/2016, pronunciandosi sul caso di una ragazza dell'est europeo che aveva ricevuto una serie di avvisi di accertamento per il mancato pagamento di Iva e Irpef dopo una serie di indagini bancarie effettuate dal fisco. Sono proprio queste ultime ad incastrarla. La donna infatti non riusciva a documentare che gli elementi emersi dalle movimentazioni sul conto corrente non erano riferibili ad attività imponibili, ammettendo di fare la escort con attività ben organizzata e stabile (come emergeva dal diario degli appuntamenti della ragazza) e di guadagnare almeno 36mila euro l'anno. Ciò basta al giudice per ritenere che l'attività non fosse affatto marginale e che le tasse fossero dovute.

Sì agli obblighi ma se ci sono i diritti: l'intervento del Comitato per i diritti civili delle prostitute

Immediata l'eco della pronuncia e le relative polemiche da parte del Comitato per i diritti civili delle prostitute. "La contraddizione è che se una escort vuole aprire una partita Iva

poi il Fisco italiano glielo nega perché non c'è una regolamentazione che lo permetta. Da noi, al di là delle sentenze, manca una legge chiara: si faccia, allora". Sono le parole, espresse all'Adnkronos, dalla fondatrice del Comitato per i diritti civili delle prostitute, Pia Covre, dopo la sentenza della commissione tributaria di Savona. La giurisprudenza della Corte di giustizia europea, su cui si è basato il giudice tributario, si rifà al "caso di una sex worker in Olanda, dove la prostituzione è riconosciuta come un lavoro - ha ricordato la Covre - ma lo stesso orientamento, secondo cui la prostituzione equivale ad altre attività economiche, non si può applicare in Italia dove non c'è riconoscimento della professione di prostituta e di conseguenza non vi è nessuna legislazione in proposito".

Del resto, ha aggiunto la Covre, "non è la prima volta che i giudici italiani ricorrono all'orientamento Ue per giustificare che le lavoratrici del sesso debbano pagare le tasse" e anche gli accertamenti della finanza sui conti delle escort "sono molti di più di quelli che emergono dalle cronache, soltanto che molte lasciano correre e pagano".

Se si parla di doveri, dunque, come il pagamento delle tasse, allora, ha affermato Covre, si deve parlare anche di diritti. "Visto che la maggior parte di questo mondo è fatto di donne, è forse garantito il diritto alla maternità?" ha rincarato, infatti, per non parlare poi della questione previdenziale e della salute.

"Queste non sono sentenze che garantiscono diritti, garantiscono solo l'obbligo di pagare le tasse - ha chiosato - Serve una legge che riconosca il nostro come un lavoro con annesse tutte le questioni previdenziali, allora sì che è giusto pagare le tasse".


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