Per il Tar Lazio l'autorità pubblica non può limitare l'esercizio di un'attività economica come bed&breakfast e case vacanze

di Marina Crisafi - Non si può imporre ai b&b o alle case vacanze di chiudere o di trasformarsi in imprenditori. A sancirlo è una recentissima e importante sentenza del Tar Lazio (la n. 6755/2016 qui sotto allegata) che chiarisce e afferma un principio fondamentale che governa l'attività economica in regime di concorrenza.

La vicenda aveva ad oggetto il ricorso dell'antitrust avverso un regolamento della regione Lazio sulla disciplina delle strutture ricettive extralberghiere che imponeva periodi di inattività forzata e requisiti minimi di dimensioni da rispettare a B&B e case vacanze insistenti sul territorio.

In sostanza, il regolamento poneva i soggetti nelle condizioni di dover scegliere tra chiudere per lunghi periodi o diventare imprenditori.

Ma per l'antitrust ciò avrebbe recato misure limitative dell'attività ricettizia extralberghiera a vantaggio di quella alberghiera, attraverso l'introduzione e l'inasprimento dei requisiti richiesti per l'esercizio dell'attività, "idonei a tradursi in un'ingiustificata limitazione dell'accesso e dell'esercito di tale attività, limitando l'operatività delle strutture e subordinandone l'accesso al mercato al rispetto di vincoli di natura dimensionale, in contrasto con i principi di libera concorrenza e i correlati principi di parità di trattamento e non discriminazione".

Il Tar ha accolto le doglianze affermando che l'autorità pubblica può limitare l'esercizio di un'attività economica soltanto, in presenza di ipotesi eccezionali (cfr. art. 3, d.l. n. 138/2011 convertito dalla l. n. 148/2011). In caso contrario, deve ritenersi che tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge deve essere permesso.

È opportuno rammentare, ha dichiarato il giudice amministrativo che la legge (comma 1 dell'art. 3 citato), prevede che "Comuni, Province, Regioni e Stato, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge nei soli casi di (fra l'altro): a) vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione; c) danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l'utilità sociale; d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale; e) disposizioni relative alle attività di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportano effetti sulla finanza pubblica".

Sempre il legislatore (all'art. 34 del d.l. n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla l.n. 214/2011) ha stabilito che "la disciplina delle attività economiche è improntata al principio di libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l'ordinamento comunitario, che possono giustificare l'introduzione di previ atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di controllo, nel rispetto del principio di proporzionalità". Per cui, l'introduzione di qualsiasi vincolo autorizzativo all'esercizio di un'attività economica deve essere giustificato dall'esistenza di "un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l'ordinamento comunitario, nel rispetto del principio di proporzionalità". Ciò non si ravvisa nel caso di specie. Da qui l'accoglimento del ricorso e l'annullamento del regolamento regionale.

Tar Lazio, sentenza n. 6755/2016

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