Il datore di lavoro ha potere di controllo ma il "fiato sul collo" nega in radice il rapporto fiduciario

di Marina Crisafi - No al fiato sul collo dell'azienda sui propri lavoratori. Il potere di controllo del datore di lavoro non può trasformarsi in un pressing "assiduo" e "continuo", altrimenti si negherebbe "alla radice il carattere fiduciario del rapporto di lavoro subordinato che implica che il datore di lavoro normalmente conti sulla correttezza del proprio dipendente". A sancirlo è la sezione lavoro della Cassazione con una sentenza pubblicata pochi minuti fa (n. 10069/2016 qui sotto allegata), pronunciandosi su una vertenza di lavoro riguardante Sky Italia.

Nella vicenda ricostruita dal Palazzaccio, l'azienda aveva licenziato per motivi disciplinari un dipendente accusato di avere richiesto alla società "ingiustificati rimborsi" di benzina, pari quasi al doppio rispetto alle esigenze lavorative. In appello, il giudice di Ancona reintegrava il lavoratore ritenendo eccessiva la sanzione dell'espulsione e contestando comunque alla società la tardività della contestazione al lavoratore.

Sky adiva piazza Cavour reclamando che non può porsi a carico del datore di lavoro "l'obbligo di un continuo controllo dell'operato del dipendente, essendo il rapporto di lavoro basato sulla reciproca fiducia".

Gli Ermellini danno ragione all'azienda e passano la parola al giudice del rinvio che dovrà rivalutare "la gravità dell'infrazione disciplinare" e la "tempestività della contestazione".

Quanto ai controlli, il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte è il seguente: "il datore di lavoro ha il potere, ma non l'obbligo, di controllare in modo continuo ed assiduo i propri dipendenti contestando loro immediatamente qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento: un obbligo siffatto negherebbe in radice il carattere fiduciario del rapporto di lavoro subordinato, che implica che il datore di lavoro normalmente conti sulla correttezza del proprio dipendente, ma in relazione al momento in cui ne abbia acquisito piena conoscenza".

Cassazione, sentenza n. 10069/2016

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