La nozione di insubordinazione ricorda la Cassazione riguarda solo i casi di rifiuto di ottemperare a una direttiva o a un ordine

di Valeria Zeppilli - Deve considerarsi illegittimo il licenziamento del lavoratore che, senza autorizzazione, esegue attività per conto proprio durante l'orario di lavoro e fuori della sua postazione, peraltro utilizzando delle attrezzature sulle quali non è stato addestrato. Almeno in assenza di un'analisi più approfondita.

La sezione lavoro della Corte di cassazione, con la sentenza numero 8236/2016 depositata il 26 aprile (qui sotto allegata), ha infatti chiarito che una simile condotta non può considerarsi come insubordinazione.

Tale ultima nozione, infatti, è circoscritta ai casi di rifiuto di ottemperare a una direttiva o a un ordine, giustificato e legittimo, di svolgere una diversa attività o un diverso compito.

Il giudice del merito, invece, aveva fondato il proprio giudizio di gravità della condotta, fondamentale per valutare la proporzionalità della sanzione all'illecito, solo sul rilievo secondo il quale il lavoratore avrebbe posto in essere proprio una forma di insubordinazione.

Del tutto trascurata, invece, era stata la necessaria analisi del caso concreto, fatta prendendo in considerazione la durata dell'allontanamento dal posto di lavoro, i tempi e i modi con i quali l'operazione era stata svolta, la natura effettiva delle attrezzature utilizzate e la concreta necessità che esse richiedessero un addestramento.

Ammissibile, quindi, è il ricorso del dipendente avverso la pronuncia della Corte di appello di Trieste che si era limitata a convertire il licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo senza procedere agli accertamenti idonei, eventualmente, a sancirne l'illegittimità.

Si torna dinanzi al giudice del merito.

Si legge nella parte motiva della sentenza: "La Corte [territoriale], infatti, in primo luogo fonda il proprio giudizio di gravità sul rilievo secondo il quale la condotta ascritta al lavoratore costituirebbe una forma di insubordinazione; osserva, quindi, che destinare il tempo retribuito dal datore di lavoro e ii beni aziendali a scopi personali rappresenta una sorta di appropriazione indebita e che l'utilizzo di una macchina, riguardo alla quale non si è ricevuta adeguata formazione, costituisce fonte (potenziale) di gravi pericoli e di ingenti danni.

E', tuttavia, evidente che, nella specie, non si è verificata, né risulta contestata, alcuna condotta che possa considerarsi come insubordinazione, la cui nozione è ristretta, in ogni ambito, alla condotta di chi rifiuti di ottemperare ad una direttiva o ad un ordine, giustificato e legittimo, di svolgere una diversa attività o un diverso compito. Ed è ancora evidente che la Corte territoriale ha posto a fondamento della valutazione di gravità rilievi di portata generale, disgiunti da una pur necessaria analisi del caso concreto e, in particolare, trascurando di fare oggetto di esame la durata dei contestato abbandono del posto di lavoro, i tempi e le modalità dell'operazione in corso, la natura della macchina e di ogni altra attrezzatura impiegata per scopi personali, la conseguente ed effettiva necessità di uno specifico addestramento su di essa come l'entità del rischio collegato ad un uso non appropriato.

In definitiva, risulta omesso nella sentenza impugnata ogni specifico riferimento ai profili oggettivi e fattuali dell'episodio oggetto di addebito disciplinare, essendosi dalla Corte territoriale specificamente indagato solo l'aspetto soggettivo rappresentato dal fatto che il lavoratore aveva già ricevuto nei due anni precedenti quattro contestazioni, tre delle quali seguite da sanzione".

Corte di cassazione testo sentenza numero 8236/2016
Valeria Zeppilli

Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: