Trattandosi di responsabilità ex art. 2043 c.c., non può richiedersi all'ente un controllo incessante lontano dal centro abitato

di Lucia Izzo - Chi viene aggredito da un animale randagio mentre sta facendo "footing" non ha diritto al risarcimento del danno se l'evento avviene in una località lontana dal Centro abitato, non essendo esigibile un'incessante vigilanza da parte dell'Ente pubblico che si occupa di tenere sotto controllo il fenomeno del randagismo.


Lo ha stabilito il Tribunale di Cagliari (giudice Elisabetta Murru), nella sentenza 414/2016 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso di una donna che aveva chiamato in giudizio il Comune e la competente ASL territoriale, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito dell'aggressione di un cane di grossa taglia occorsale mentre faceva footing.


La donna chiarisce che mentre praticava la corsa in una strada asfaltata, giunta in prossimità di un fondo, recitato con filo spinato e in stato di abbandono, era stata aggredita da un cane di grossa taglia, privo di guinzaglio e museruola, venendo morsa all'altezza della coscia destra.


Soccorsa da un passante e di seguito accompagnata all'ospedale dal proprio coniuge, venivano riscontrate lesioni che la ricorrente stima in un danno biologico del 6%.

Il giorno successivo sul posto si era recata una pattuglia di Carabinieri che aveva rinvenuto la presenza del cane e, avuto riguardo alla aggressività dello stesso, aveva chiesto l'intervento del servizio veterinario per l'abbattimento dell'animale; poiché  le successive ricerche non consentirono l'identificazione del proprietario dell'animale, il procedimento penale veniva archiviato.


Parte attrice ha sostenuto la responsabilità solidale del Comune e della Azienda sanitaria secondo i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, in forza dei quali i compiti in materia di assistenza sanitaria debbono essere ripartiti tra enti centrali e locali.

Tuttavia, chiarisce il giudice, le domande risarcitorie non possono ritenersi fondate: il quadro normativo di riferimento per l'analisi della fattispecie per cui si procede è costituito dalla legge statale n. 281 del 14 agosto 1991 (legge quadro in materia di animali da affezione e prevenzione del randagismo) e della legge regionale sarda n. 21 del 18 maggio 1994. 


L'art. 2 della legge n. 281 del 1991, nell'individuare gli strumenti rivolti ad arginare il fenomeno del randagismo, ripartisce le competenze tra i comuni ed i servizi veterinari delle ASL: attribuisce ai comuni la costruzione, sistemazione e gestione dei canili e rifugi per cani; attribuisce alle ASL le attività di profilassi e controllo igienico - sanitario e di polizia veterinaria. 

L'art. 3, infine, attribuisce alle singole regioni il compito di disciplinare le misure di attuazione delle funzioni attribuite ai comuni ed alle ASL.


In attuazione di tale delega è stata emanata la legge regionale Sardegna n. 21 del 18 maggio 1994, la quale pone a carico dei servizi veterinari delle ASL il compito di provvedere alla tenuta e all'aggiornamento dell'anagrafe canina, nonché il compito di curare la cattura dei cani vaganti non identificati (art. 9), e a carico dei comuni il compito di provvedere al risanamento e alla gestione dei canili comunali (art. 3).


La legge regionale pone dunque un obbligo di vigilanza sui cani randagi unicamente in capo alle ASL, riservando ai comuni solo un onere di gestione dei canili comunali, una volta che i cani vaganti siano stati identificati e catturati ad opera dei servizi sanitari delle ASL. 

Da tale disposizione si deduce che il servizio veterinario delle Aziende Sanitarie è tenuto al controllo del randagismo.


Ciò posto, il giudice cagliaritano evidenzia che il danno cagionato da cani randagi non può essere risarcito in forza della presunzione stabilita dall'art. 2052 c.c. (inapplicabile per la natura stessa degli animali in questione che non sono sotto la custodia dell'ente locale), ma solamente alla stregua dei principi generali della responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 c.c.


Come stabilito dalla Corte di Cassazione (sent. 17528/2011), in tal caso deve trovare applicazione la fattispecie generale della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., con le ovvie conseguenze in tema di riparto dell'onere probatorio.

Il disposto della norma presuppone che, oltre all'accertamento del danno ingiusto e del nesso di causalità rispetto ad una condotta commissiva od omissiva dell'ente, debba essere accertato altresì l'elemento psicologico del dolo o della colpa dell'ente.


Nel caso di specie, conclude il Tribunale, se può ritenersi provato che l'attrice sia stata aggredita da un cane randagio, non risulta individuato un comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico, fonte della responsabilità risarcitoria invocata dalla appellante.


Nessuna prova è stata, infatti, introdotta in causa circa la violazione di misure cautelari ad opera dell'ente sanitario non risultando neppure dedotta la presenza, in precedenza, di cani randagi in quei luoghi (tali da costituire un pericolo per gli utenti della strada) ovvero che la stessa località fosse stata teatro di analoghi episodi tali da allertare le autorità preposte. Nel caso di specie, inoltre, è emerso che il cane poco prima dell'aggressione si trovava all'interno di un terreno recintato di proprietà privata.


Infine, stante il luogo in cui si è verificato l'occorso (zona lontana dal Centro abitato), non può neppure ritenersi esigibile una presenza e/o vigilanza incessante da parte dell'Ente pubblico e/o la recinzione dei luoghi indipendente dalle peculiarità concrete.



Tribunale di Cagliari, sent. 414/2016

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