Il revirement della Cassazione sull'orientamento consolidato in due recenti sentenze

di Donatella Squillace - La Cassazione, con due recenti sentenze, ha ribaltato l'orientamento giurisprudenziale consolidato, espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 46088/2008, secondo il quale la mancata comparizione al processo della parte offesa non può considerarsi remissione tacita della querela sporta.

Nella sentenza n. 12186/2016 viene enunciato il seguente principio di diritto: "la mancata comparizione del querelante - previamente ed espressamente avvisato che l'eventuale successiva assenza sarà interpretata come abbandono dell'istanza di punizione - integra gli estremi della remissione tacita extraprocessuale, trattandosi di condotta (omissiva) posta in essere da un soggetto che non riveste la qualità di "parte in senso tecnico" ed alla cui inerzia non può attribuirsi alcuna connotazione di natura "processuale" , costituendo soltanto il momento in cui il giudice, nel suo libero convincimento, ritiene integrata la "prova" di una decisione presa a "monte". A tal fine, il giudice deve verificare con estremo rigore che la persona offesa- querelante abbia personalmente ricevuto detto avviso, che non sussistano manifestazioni di segno opposto e nulla induca a dubitare che si tratti di perdurante assenza dovuta a libera e consapevole scelta".

La Corte svolge, infatti, una approfondita disamina sul concetto di "parte processuale" e "soggetto processuale" giungendo alla conclusione che, ad eccezione della fattispecie contemplata dagli artt. 21 e ss. dlgs n. 274/2000 (ricorso immediato al giudice della persona offesa), nonché della diversa ipotesi (estranea al caso in esame) in cui la persona offesa

si sia costituita anche parte civile, la persona offesa non assume la qualità di "parte" nel processo penale bensì di soggetto: tale qualificazione, qualora la persona offesa persista l'atteggiamento di voler rimanere lontana dal processo,consente al giudice, secondo il proprio prudente apprezzamento, di accertare se tale comportamento sia o meno manifestazione della volontà di ritirare la propria istanza punitiva.

Secondo la Corte, dunque, "la formula usata dall'art. 152 c.p. è molto ampia, ricorrendo remissione tacita di querela "quando il querelante ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela", ed in tale contesto il giudice, nell'indagare la volontà della persona offesa- querelante e nell'interpretarne il significato, non è vincolato a schemi predefiniti e può quindi, proprio in virtù del principio di responsabilità sopra enunciato, invitare tale soggetto a riflettere in ordine alla sua persistente volontà punitiva con un avviso specifico (nel senso che la sua eventuale ulteriore mancata comparizione in giudizio sarà interpretata come remissione tacita di querela) e trarre quindi le conseguenze del suo successivo atteggiamento".

Poiché, come detto, la parte offesa non riveste la qualità di "parte processuale" detto comportamento concludente non costituisce un comportamento "processuale" poiché non è la mancata comparizione al processo che "perfeziona" automaticamente il ritiro della pretesa punitiva, bensì è soltanto la decisione del Giudice che interpreta quel fatto come manifestazione di disinteresse alla prosecuzione della pretesa punitiva, attribuendo al fatto medesimo una rilevanza processuale che altrimenti non avrebbe.

Infine, quale ulteriore argomento, la Corte richiama i principi di "responsabilità" e di economia processuale, in base ai quale in tutte le ipotesi in cui la persona offesa non sia più interessata alla punizione del querelato, "non può ammettersi che la pretesa punitiva dello Stato venga, costosamente, perseguita nonostante la mancanza della persistente volontà di colui il quale ha dato vita alla condizione da cui la legge fa dipendere la nascita di detta pretesa".

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Nella sentenza n. 12417/2016 La Corte pone maggiormente l'accento sulla ratio della disciplina del processo innanzi al Giudice di Pace, in cui è rinvenibile un'indubbia tendenza "alla responsabilizzazione della persona offesa, alla quale sono riconosciuti importanti poteri di attivazione, e, in maniera speculare, una rinuncia o comunque una netta presa di distanza dal dogma della sovranità della volontà della persona offesa, come chiaramente enucleabile dalla disciplina dell'estinzione del reato in conseguenza di condotte riparatorie, ai sensi dell'art. 35 del citato decreto, in cui la persona offesa deve essere semplicemente sentita dal giudice che, tuttavia, decide a prescindere dalla volontà manifestata dalla stessa di persistere nell'esercizio della pretesa punitiva a fronte di condotte riparatorie ritenute idonee dal giudicante. ".

La mancata comparizione del querelante, che non abbia giustificato il proprio impedimento, deve quindi essere considerata remissione tacita di querela, poiché non si può ritenere che solo laddove il legislatore ne ha predeterminato gli effetti possa parlarsi di equivalenza alla remissione, come nel caso dell'art. 28) mentre laddove non lo abbia fatto detto effetto debba escludersi; invero, il medesimo comportamento impone, per una lettura costituzionalmente orientata delle norme, di ricollegare ad esso il medesimo effetto.

Nel caso di mancata comparizione della persona offesa, anche a seguito della comunicazione da parte del Giudice che tale comportamento sarà considerato come manifestazione della volontà di non proseguire nella querela sporta, deve essere qualificato come una remissione tacita extraprocessuale: al querelante, invero, viene lasciata la scelta se proseguire nel processo, presentandosi all'udienza, ovvero determinando la sua estinzione, non presentandosi.

Tale interpretazione risponde a criteri di economia processuale e soprattutto al fondamentale principio di ragionevole durata del processo, che impone di interpretare le norme in modo da non consentire attività processuali inutili ed onerose.

Avvocato Donatella Squillace

e-mail: donatella.squillace@libero.it


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