Per il tribunale di Palermo, l'obbligatorietà della mediazione non si estende alle domande nei riguardi dei terzi chiamati in causa

Avv. Giulia Menoni - L'art. 5 comma 1 bis del d. lgs. n. 28/2010, come modificato dal D.L. 69/2013 prevede l'obbligo, per chi intende esercitare in giudizio un'azione, di esperire preliminarmente il procedimento di mediazione qualora la controversia sia relativa ad una delle seguenti materie: "condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari".

Conseguenza del mancato esperimento del procedimento di mediazione è l'improcedibilità della domanda.
La giurisprudenza di merito si è interrogata sul significato attribuito dal legislatore all'espressione "chi intende esercitare in giudizio un'azione".

Secondo una prima tesi ogni domanda proposta in giudizio, quindi anche le eventuali domande riconvenzionali e quelle proposte dal terzo, soggiacerebbe all'obbligo di esercizio preventivo della mediazione obbligatoria.

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Al contrario, secondo altra tesi, l'obbligatorietà del procedimento di mediazione nelle materie indicate all'art. 5 comma 1bis d.lgs 28/2010 sarebbe riferibile alla sola domanda proposta dall'attore.

Sul punto di recente ha fatto chiarezza il Tribunale di Palermo con ordinanza del 27.02.2016, affermando che la mediazione obbligatoria non si estende alle domande nei riguardi dei terzi chiamati in causa.

Il Tribunale arriva a questa decisione partendo dal presupposto che le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all'esercizio di agire in giudizio dall'art. 24 Cost., non possono essere interpretate in senso estensivo e quindi non può prescindersi dalla rigorosa interpretazione del dato testuale, che prevede che l'improcedibilità sia sollevata dal convenuto, qualificazione che il codice di rito annette non al destinatario di una qualunque domanda giudiziale, bensì a colui che riceve la vocatio in jus da parte dell'attore.

L'ordinanza de quo prosegue rilevando, altresì, il sensibile allungamento dei tempi di definizione del processo qualora si dovessero esperire una pluralità di procedimenti di mediazione

nel corso del giudizio, andando così a contrastare con il principio costituzionale della ragionevole durata del giudizio.
A parere del Tribunale, quindi, il legislatore con l'espressione "chi intende esercitare in giudizio un'azione" si è riferito esclusivamente a "chi intende instaurare un giudizio".

Avv. Giulia Menoni - giuliamenoni@libero.it


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