Le mutate condizioni vanno provate, altrimenti oltre alla condanna alle spese scatta anche la multa

di Marina Crisafi - Non si può chiedere al tribunale di ricontrattare l'assegno di mantenimento se non si dimostra il cambiamento delle condizioni stabilite in sede di separazione. Il rischio è non solo quello di vedersi rigettata la domanda ma anche di essere condannati alle spese e a una sanzione, pari all'importo versato per il contributo unificato. È ciò che emerge da un recentissimo decreto (1 marzo 2016, qui sotto allegato) con il quale la Corte d'Appello di Roma ha rigettato la domanda di una donna che chiedeva l'attribuzione di un assegno a carico dell'ex marito e l'incremento dell'importo dovuto dallo stesso per il mantenimento in favore delle figlie.

La donna adduceva, a sostegno della propria richiesta, di essere disoccupata e di essere stata costretta, per via della separazione, a lasciare la propria abitazione per trasferirsi insieme alle figlie a casa del compagno, non potendo più pagare l'affitto.

Ma le sue tesi, già rigettate in primo grado, non reggono neanche in appello.

Si deve premettere - ha deciso infatti il collegio - che "la modifica dei provvedimenti adottati con la sentenza di separazione giudiziale ovvero con il decreto di omologazione è subordinata alla condizione del sopravvenire di fatti nuovi rispetto alle circostanze valutate in sede di emissione degli stessi provvedimenti". Tale conclusione trova il suo fondamento giuridico nell'art. 156, ultimo comma, c.c., il quale, con dizione sostanzialmente analoga a quella adottata dall'art. 9 L. n. 898/70 in tema di divorzio, ricollega la revoca o la modifica dei provvedimenti al sopravvenire di "giustificati motivi".

La legge, in particolare, si legge nel provvedimento, "non attribuisce al procedimento ex art. 710 c.p.c. natura di revisio prioris instantiae e, quindi, di rivisitazione delle determinazioni già adottate nel giudizio di separazione, ma di novum iudicium, perché lo considera finalizzato ad adeguare la regolamentazione dei rapporti tra i coniugi al mutamento della situazione di fatto, laddove, però, una siffatta modificazione incida concretamente sulle loro condizioni economiche, determinandone un significativo squilibrio".

Per cui, nel procedimento ex art. 710 c.p.c. non si può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell'entità dell'assegno, ma verificare se e in che misura "le circostanze sopravvenute abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e quindi adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale".

Nel caso di specie, l'ex moglie non solo non ha provato il mutamento in peius delle proprie condizioni economiche rispetto alla separazione, ma le stesse appaiono anzi migliorate, considerato che la donna, come rilevato dal tribunale, aveva lasciato la casa in affitto e dunque era venuto meno il pagamento del canone locativo.

Tra l'altro, non si rinvengono giustificazioni con riferimento al reddito del marito, giacché l'onere posto a suo carico (650,00 euro al mese per le figlie oltre al 50% delle spese straordinarie) appare già commisurato alla sua capacità economica.

Da qui, il rigetto del reclamo con conseguente condanna non solo alle spese di giudizio, quantificate in oltre 4mila euro, ma altresì al pagamento in favore dell'erario, di una somma pari al contributo unificato già corrisposto.

Corte d'Appello Roma, decreto 1 marzo 2016

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