Guida legale alla disciplina di cui al decreto legislativo n. 231/2001

Con il Decreto Legislativo 231/2001, Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di responsabilità giuridica, a norma dell'articolo 1 della Legge 29 settembre 2000,n.n 300, è stata introdotta nell'ordinamento italiano la responsabilità delle persone giuridiche per reati commessi nel loro interesse ovvero per loro vantaggio.

Il legislatore, nel citato Decreto, non utilizza l'espressione responsabilità penale, bensì responsabilità amministrativa.

Tale inciso ha fatto nascere in ambito dottrinale non poche scuole di pensiero. Infatti una parte della dottrina sostiene che trattasi di sanzioni amministrative irrogate dal giudice penale, altra parte invece afferma che trattasi di quella responsabilità penale dell'ente che scatta nel momento in cui viene commesso un reato presupposto.

Entrambe le posizioni sono superate da una tesi intermedia che prende le mosse dalla relazione governativa al Decreto Legislativo 231/2001 ove si legge che non si tratta né di una responsabilità amministrativa, né di una responsabilità penale, bensì di un ibrido tra le due forme, il quale prende alcuni aspetti sia dell'una che dell'altra responsabilità.

La giurisprudenza della Suprema Corte, con sentenza 3613/2006 ha sostenuto che la responsabilità dell'ente nasconde la sua natura penale al fine di non aprire conflitti con l'aspetto personalistico della imputazione criminale di natura costituzionale, così come si legge nell'articolo 27 della Carta.

Come si evince dall'articolo 1 del citato Decreto, l'applicabilità delle disposizioni previste nel relativo corpo normativo si riferisce agli enti forniti di personalità giuridica, nonchè alle associazioni e società anche prive di personalità giuridica, non prevedendo pertanto le imprese individuali nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

Affinché si configuri la responsabilità è necessario che il reato venga commesso da persone legate funzionalmente all'ente e che lo stesso sia stato commesso nell'interesse ovvero a vantaggio dell'ente.

Soffermando, quindi, l'attenzione sull' art. 5, la responsabilità dell'ente sorge quando il reato sia commesso: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a). Con l'ultimo comma che chiude tale disposizione il legislatore esclude la responsabilità dell'ente nel caso in cui i soggetti precedentemente indicati abbiano agito nel proprio ovvero nell'interesse di terzi.

Trattasi di una responsabilità autonoma e non sussidiaria, infatti da quanto si legge dall'articolo 8 (Autonomia delle responsabilità dell'ente) essa permane nel caso in cui l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile e il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia.

Particolarmente importante è la pronuncia degli Ermellini che, con sentenza 44824/2012, hanno statuito che il fallimento della società non comporta nè l'estinzione dell'illecito, né le sanzioni applicate, in quanto l'instaurazione della procedura concorsuale non è assimilabile alla morte dell'imputato.

Per quanto riguarda l'interesse ed il vantaggio, sempre la Suprema Corte, con sentenza 3615/2001, ha statuito che trattasi di concetti giuridicamente diversi, in quanto il primo si riferisce ad un indebito arricchimento non necessariamente realizzato, mentre con il secondo si intende un vantaggio conseguito con la commissione del reato, quindi interesse e vantaggio sono in concorso reale.

Fenomeno di crescente espansione all'interno degli enti sono i codici etici adottati in virtù di quanto dispone l'articolo 6 del Decreto 231/2001, alla luce del quale l'ente stesso si spoglia da ogni responsabilità nel caso in cui provi che: 1) l'organo dirigente ha adottato e diligentemente posto in essere, prima che il fatto si verifichi, schemi organizzativi e di gestione tali da prevenire il reato della medesima specie che si è poi verificato; 2) l'ente ha osservato tali schemi; 3) le persone che hanno commesso il reato lo hanno compiuto in modo tale da eludere fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione è vi è stata un'attenta vigilanza da parte dell'organismo di controllo.

L'ente risponde di reati tassativamente riportati nel Decreto in esame; è lecito osservare che importanti modifiche sono state apportate con la legge 69/2015 recante disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio.

Il regime sanzionatorio viene disciplinato ai sensi dell'articolo 9 (Sanzioni amministrative). Sono previste pene pecuniarie, interdittive (quali per esempio la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, delle licenze o concessioni funzionli alla commissione dell'illecito), la pubblicazione della sentenza nonché la confisca.

Per quanto riguarda quest'ultima le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza 26654/2008 hanno definito il significato di profitto del reato, quale vantaggio economico di immediata derivazione causale del reato presupposto, ma nel caso in cui questo sia consumato in un rapporto di dare avere, non può essere considerato profitto quell'utilità eventualmente conseguita dal danneggiato alla luce di quanto il contratto impone all'ente; per quanto riguarda invece l'interdizione essa può essere definitiva nel caso in cui il profitto sia di rilevante quantità, mentre nel caso in cui sussistano i presupposti di cui all'articolo 15, Commissario giudiziale quindi nel caso in cui: A) l'ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività; B) l'interruzione dell'attività dell'ente può provocare, tenuto conto delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull'occupazione il giudice può disporre la nomina di un commissario giudiziale per un periodo d tempo pari alla sanzione.

L'ente è in giudizio, innanzi ad un Tribunale monocratico ovvero collegiale, mediante il rappresentante legale, salvo che questi non sia imputato, attraverso la nomina di un difensore di fiducia ovvero in mancanza un difensore d'ufficio. Il giudice può disporre il sequestro preventivo delle cose per le quali è prevista la confisca, mentre nel caso non vi siano garanzie per ottemperare alla pena pecuniaria, ovvero per provvedere alle spese di giudizio o altre somme dovute all'erario è possibile che venga disposto il sequestro conservativo su beni mobili o immobili dell'ente ovvero sulle somme per il quale lo stesso è creditore.

Il procedimento segue l'iter previsto nel caso in cui l'indagato/imputato sia una persona fisica, quindi le indagini preliminari sono svolte dal PM, se vi sono i presupposti è possibile che intervenga un decreto di archiviazione ovvero si pone in essere l'azione penale ai sensi dell'articolo 405 del Codice di Rito.

Non è possibile la costituzione di parte civile, ma sono ammessi i riti alternativi, quali giudizio abbreviato, patteggiamento e procedimento per decreto. Dalla lettura dell'articolo 17 (Riparazione delle conseguenze del reato) si evince che prima dell'apertura del dibattimento, su istanza dell'ente, laddove ne sussistano i relativi presupposti, quindi nel caso in cui concorrono le seguenti condizioni: A) l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso ;B) l'ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; C) l'ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca. Il giudice può disporre la sospensione del procedimento nel caso in cui venga richiesto un termine per provvedere alle attività riparatorie menzionate, resta comunque ferma però l'applicabilità della pene pecuniaria.

Il giudizio può concludersi con una sentenza di esclusione della responsabilità, di non doversi procedere ovvero di condanna con la relativa sanzione.

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