La violazione delle prescrizioni connesse alla misura cautelare non comporta alcun automatico aggravamento della misura stessa

di Donatella Squillace - La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11177/2016, torna a pronunciarsi sul delicato tema dell'aggravamento delle misure cautelari in seguito alla violazione delle prescrizioni imposte con l'applicazione della misura originaria.

Invero, già il nuovo art. 276, comma 1 ter c.p.p., come modificato dalla legge 47/2015, prevede, relativamente alla più frequente causa di violazioni degli obblighi restrittivi connessi alla misura degli arresti domiciliari, che «in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora, il giudice dispone la revoca della misura e la sostituzione con la custodia cautelare in carcere, salvo che il fatto sia di lieve entità», dando così ampio spazio alla discrezionalità del giudice nel valutare l'effettiva gravità del fatto, escludendo di conseguenza ogni automatismo nella revoca e nell'aggravamento della misura applicata.

A maggior ragione, pertanto, nel caso di violazione di prescrizioni diverse dal divieto di allontanamento dalla propria abitazione, è fatto obbligo al Giudice di procedere in maniera approfondita a valutare "l'entità, i motivi e le circostanze della violazione che siano idonei a giustificare, nel caso concreto, la sostituzione della misura coercitiva o il suo cumulo con altra più grave", dandone adeguato conto nella motivazione del provvedimento.

La motivazione, inoltre, deve essere particolarmente rigorosa, concernendo l'adozione di un provvedimento che incide direttamente sul bene della libertà personale, comprimendola ulteriormente.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha escluso che la frequentazione del domicilio dell'imputato da parte di persone gravate da semplici precedenti di polizia, sia circostanza idonea a giustificare la revoca degli arresti domiciliari e la sostituzione con la misura della detenzione in carcere, in assenza di "verifica o approfondimento motivazionale sulla loro evoluzione in un precedente giudiziario o quantomeno in un carico pendente, nel senso della confluenza in una notitia criminis che abbia dato origine a un'iscrizione nel registro previsto dall'art. 335 del codice di rito e all'apertura di un procedimento penale". Poiché, infatti non risulta dimostrata l'idoneità di tale frequentazione a giustificare una ripresa dei contatti dell'imputato con l'ambiente criminale, non può sussistere alcun automatismo tra la violazione del divieto di non avere contatti con persone diverse dai componenti del nucleo familiare convivente e l'aggravamento della misura cautelare applicata.


Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: