La Corte di Cassazione opera le dovute distinzioni in base ai tipi di illeciti

di Annalisa Sassaro - La tassatività in caso di illeciti disciplinari e le conseguenti sanzioni è una vexata quaestio sulla quale ha fatto luce la Corte di Cassazione (cfr. sentenza n. 163481/2014).

Partendo dal presupposto che non sussistono le ragioni che determinano la necessità di tassatività come nell'ambito degli illeciti penali, la Corte precisa come sia doveroso operare una distinzione tra gli illeciti che si declinano in violazione di prescrizioni strettamente attinenti all'organizzazione aziendale e illeciti che risultano essere manifestamente contrari agli interessi dell'impresa o dei lavoratori. Per quest'ultimi la Corte ritiene che non sia necessaria la menzione nel codice disciplinare.

Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte d'Appello di Ancona ha respinto l'impugnazione proposta da un lavoratore avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda con la quale egli aveva chiesto l'accertamento dell'illegittimità del licenziamento intimatogli da un'Azienda ospedaliera universitaria.

Gli addebiti disciplinari consistevano nei seguenti fatti:

-il dipendente aveva inveito violentemente contro un collega;

-il medesimo non aveva partecipato alle visite collegiali della squadra di lavoro ed aveva fornito ad un utente informazioni denigratorie relativamente all'esecuzione di un intervento chirurgico da parte di un suo collega.

Secondo la Corte territoriale, i suddetti addebiti erano ritenuti sufficienti per minare il rapporto di fiducia ed integravano quindi il concetto di giusta causa del recesso, senza che si ponesse la necessità della previa previsione degli stessi nel codice disciplinare.

Il dipendente, parte ricorrente per la cassazione della sentenza, invece sostiene che le contestate violazioni non erano riconducibili a condotte manifestatamente contrastanti con la legge, con il contratto o con i valori comunemente accettati tali da giustificare l'eccezione alla regola della necessaria tipizzazione delle infrazioni e delle relative sanzioni e della conseguente necessità della loro pubblicazione.

La Corte di Cassazione sostiene che per ciò che riguarda le sanzioni espulsive sussiste la necessità della previsione del codice disciplinare per le sole condotte che in relazione alle peculiarità dell'attività o dell'organizzazione dell'impresa possano integrare ipotesi di giusta causa o giustificato motivo oggettivo; indi per cui per cui la tesi di parte ricorrente basata sulla necessità della pubblicità del codice disciplinare è facilmente superabile dalla considerazione che nel caso di specie si trattava di violazioni avvertite dalla coscienza sociale quale minimo etico.

Quindi, in tema di sanzioni disciplinari il principio di tassatività deve essere interpretato con le dovute distinzioni; si deve cioè distinguere tra gli illeciti relativi alla violazione di prescrizioni strettamente attinenti all'organizzazione aziendale, le quali sono per lo più ignote alla collettività e quindi conoscibili solo se contemplate expressis verbis nel codice disciplinare così come disposto all'art. 7 Stat. Lav., e quelli costituiti da comportamenti manifestamente contrari agli interessi dell'impresa o dei lavoratori, per i quali non è necessaria la specifica inclusione nello stesso codice disciplinare, poiché, in questi ultimi casi che possono legittimare il recesso del datore di lavoro per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, il potere sanzionatorio deriva direttamente dalla legge.

Per le ragioni appena addotte, il ricorso del lavoratore è stato respinto.


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