La fotografia del Censis nel rapporto presentato oggi mostra una categoria danneggiata nell'immagine dalla "malagiustizia"

di Marina Crisafi - La professione dell'avvocato oggi non è più al top. Meglio, piuttosto fare il medico, il professore universitario, l'ingegnere o il giudice. È questo il ritratto che emerge dal Rapporto annuale sull'avvocatura realizzato dal Censis per Cassa Forense e diffuso oggi, secondo il quale la categoria più prestigiosa di sempre ha ceduto il passo ad altre professioni, attestandosi soltanto al 9% delle preferenze degli italiani.

Ai primi posti, per le opinioni degli italiani, nei mestieri d'eccellenza ci sono i dottori (37%), seguiti dai magistrati (25%), dai prof (19,5%), dai notai (17%), dagli ingegneri e dagli imprenditori (15%).

Gli avvocati, invece (in compagnia di politici e dirigenti di banca) rimangono a metà classifica.

Di chi è la colpa?

Per il 60% degli intervistati, l'immagine dell'avvocato è danneggiata dal cattivo funzionamento della giustizia. Per gli altri, invece, ad incidere sono vari fattori, come: la bassa qualità professionale di molti legali, l'eccessivo orientamento al profitto, la troppa vicinanza alla politica, ma anche la selettività nell'accesso alla professione e la rappresentazione che ne danno i vari media.

Inoltre, per l'85% degli italiani il numero dei professionisti forensi in Italia è eccessivo.

Tutto questo ovviamente si ripercuote anche sulle cause, tanto che il 75% ha dichiarato di rinunciare anche a far valere i propri diritti a causa della sfiducia nel sistema giudiziario.

Quanto ai pregi, invece, nell'immaginario collettivo, l'attrattività della professione è dovuta soprattutto alla sua dinamicità (82%); all'autonomia nell'organizzazione (81%), alla reputazione sociale (62%). Tra gli aspetti che invece non invogliano ad intraprendere la carriera di avvocato emergono innanzitutto la necessità di aggiornamento continuo (per l'83% degli italiani), l'eccessiva concorrenza (74%), la difficoltà di crescere in un sistema percepito come chiuso (67%), oltre alla scarsa capacità di innovarsi (56%), al poco tempo libero (55,5%) e agli scarsi margini di guadagno (28%).

A far ricorso agli avvocati, secondo il rapporto, sarebbe stato, negli ultimi cinque anni, almeno il 42% degli italiani e il ricorso aumenta con l'aumentare del livello di istruzione (il 24% degli italiani con la licenza media; il 43% con un diploma, il 48% dei laureati).

Quanto all'"autopercezione", sul campione di circa 8mila avvocati, l'indagine mostra un quadro non proprio roseo della categoria, duramente provata dalla crisi.

Soltanto il 30% degli avvocati intervistati infatti ha dichiarato di essere riuscito a mantenere stabile il fatturato negli ultimi due anni, mentre per il 44% è diminuito (la percentuale sale al 49% se si guarda solo agli avvocati del Mezzogiorno) e appena il 25% lo ha visto aumentare.

In ordine alle specializzazioni, infine, la professione appare ancorata a una dimensione "civilistica" (il 54% degli avvocati). Seguono: i penalisti (11%), gli esperti di diritto di famiglia (9%), di diritto societario (3%) e di diritto internazionale (1%), mentre solo l'11% della categoria indirizza la propria attività verso servizi specializzati.


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