Dalle possibili indebite "pressioni" sui condomini ai rischi economici per lo stesso amministratore

Avv. Paolo Accoti - Quando i condomini si disinteressano totalmente alla vita condominiale, non partecipando alle assemblee e, soprattutto, non versando le quote condominiali necessarie alla gestione del condominio, l'amministratore più accorto dovrebbe agire ex art. 63 disp. att. c.c. e, pertanto, ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo e, nei casi più gravi, di ritardo nel pagamento dei contributi protrattisi per un semestre, sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato ovvero in extrema ratio rassegnare le dimissioni.

In simili fattispecie occorrerebbe intervenire tempestivamente riunendo l'assemblea - anche in via straordinaria - al fine di reperire le somme necessarie all'esistenza in vita del condominio e avviare, contestualmente, tutte le procedure per il recupero coattivo del credito nei confronti del condomino moroso; magari fino alle estreme conseguenze, con il pignoramento dell'immobile in caso di persistente morosità.

A tal proposito si evidenzia come l'art. 1129, XII co., c.c., prevede espressamente un'ipotesi di grave irregolarità nella gestione dell'amministratore, qualora questi ometta di curare diligentemente l'azione giudiziaria e la conseguente esecuzione coattiva. Evenienza che può portare anche alla revoca dello stesso, anche da parte dell'autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino.

Tuttavia, le procedure sopra viste - il ricorso all'ingiunzione di pagamento ed alla successiva eventuale azione esecutiva - possono risultare oltre modo dispendiose, sia in termini economici che di tempo, pertanto, si è diffuso l'insano metodo di far fronte alle spese condominiali correnti con fondi personali dell'amministratore o, peggio ancora, "spostando" fondi da un condominio all'altro.

Per inciso, con l'attuale legge di riforma detta ultima ipotesi, quella di trasloco di somme di pertinenza di un condominio ad un altro, non sarebbe più possibile, esistendo l'obbligo di apertura di specifico conto corrente condominiale. Pratica in voga in passato, e forse anche attualmente in quei condomini dove l'amministratore non si è adeguato all'anzidetto obbligo.

A tal proposito, giova ribadire che esistono precise responsabilità penali e civili a carico dell'amministratore.

Tanto è vero che, a carico dell'amministratore che distrae fondi da un condominio all'altro potrebbe configurarsi il reato di appropriazione indebita ex art. 646 c.p.: "Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire due milioni. Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata. Si procede d'ufficio, se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel n. 11 dell'articolo 61".

In simili fattispecie, infatti, è stato ritenuto che: "E' configurabile il reato di appropriazione indebita, aggravata dalla circostanza di aver commesso il fatto con abuso di prestazione d'opera, in relazione alla condotta dell'amministratore di condominio, che effettui dei prelievi del tutto ingiustificati sul conto corrente acceso dal condominio al solo scopo di pagare le spese per la manutenzione straordinaria dell'edificio" (Trib. Perugia, 13/10/2012).

Per quanto riguarda il profilo civilistico, ricordiamo che, ai sensi dell'art. 1129 co. XII, n. 4), costituisce tra le altre grave irregolarità, "la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condomini", evenienza che esplicitamente autorizza la revoca dell'assemblea ovvero quella giudiziale, anche su ricorso di un solo condomino.

I motivi di detta pratica risultano facilmente comprensibili, primo tra tutti quello di non "inimicarsi" i condomini che risultano in regola con i pagamenti, sui quali normalmente andrebbero ribaltate e ripartite le quote di pertinenza dei condomini morosi e ciò per far fronte alle spese quotidiane dello stabile (energia elettrica, pulizia, amministrazione, manutenzione, ecc.).

Il più delle volte, quindi, per sopperire alla carenza di liquidità del condominio, l'amministratore provvede personalmente a ripianare le casse condominiali deficitarie, salvo poi esigere la restituzione delle anticipazioni effettuate una volta revocato ovvero dimessosi.

Questo modus operandi spesso viene adoperato, da alcuni amministratori senza scrupoli, come una sorta di minaccia nei confronti dei condòmini.

Ed invero, si ingenera quel perverso meccanismo per il quale, da un lato i condòmini hanno timore a revocare, o sostituire alla naturale scadenza, l'amministratore in carica, per la preoccupazione, sovente esplicitamente indotta dall'amministratore - il quale divulga la presunta esposizione debitoria dell'assemblea nei suoi personali confronti - di vedersi immediatamente richiedere la restituzione di ingenti somme di denaro, dall'altro, una siffatta condotta potrebbe risultare estremamente incauta e non priva di sorprese, stante le difficoltà che si potrebbero incontrare nel recupero del credito, ma anche da un punto di vista squisitamente penale.

Le conseguenze di ordine penale

E' principio assolutamente pacifico quello per cui "l'avvertimento" di agire per le vie giudiziarie, pur potendo avere una parvenza esteriore di legalità, potrebbe tuttavia integrare il delitto di estorsione allorquando, l'ammonizione espressa non appare formulata con l'intenzione di esercitare un proprio diritto, bensì con lo scopo di coartare l'altrui volontà e, pertanto, conseguire risultati non conformi a giustizia.

In altri termini, riferire all'assemblea dei condòmini che gli stessi hanno facoltà di revoca - o di deliberare l'avvicendamento - dell'amministratore in carica e, contestualmente, ammonirli in merito alla loro esposizione debitoria nei confronti del medesimo amministratore, che all'avveramento della condizione posta (cessazione dell'incarico), agirebbe immediatamente nei loro confronti per il recupero di quanto dovuto, appare condotta idonea a forzare la volontà dei singoli condomini che, in mancanza, si determinerebbero in altro modo, magari rivolgendosi ad altri amministratori con tariffe più concorrenziali rispetto a quello in carica.

L'art. 629 c.p., prevede al primo comma che: "Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000".

L'elemento costitutivo del reato di estorsione, pertanto, risiede nell'originare, mediante violenza o minaccia, uno stato di coercizione mentale nella vittima, nel caso specifico del singolo condomino, al fine di costringerlo a tenere un contegno lesivo del proprio patrimonio (il risparmio di denaro conseguibile con un amministratore concorrente più economico) per la soddisfazione di una pretestuosa ed illegittima richiesta (il mantenimento dell'amministrazione contro la volontà dei condòmini), con il conseguente procurato ingiusto profitto.

A tal proposito, giova ricordare che: "In ordine al reato di estorsione, la minaccia di un male legalmente giustificato assume il carattere di ingiustizia allorché venga fatta non già per esercitare un diritto, bensì con il proposito di coartare la volontà di altri per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia" (Cass. pen. Sez. VI, 03/11/2015, n. 45468)

Ed ancora: "La minaccia, ancorché non penalmente apprezzabile quando è legittima e tende a realizzare un diritto riconosciuto e tutelato dall'ordinamento giuridico, diviene contra ius quando, pur non essendo antigiuridico il male prospettato, si faccia uso di mezzi giuridici per scopi diversi da quelli per i quali sono stati apprestati dalla legge; conseguentemente, in tema di estorsione la minaccia di un male legalmente giustificato assume il carattere di ingiustizia quando sia fatta non già per esercitare un diritto sibbene con il proposito di coartare la volontà di altri per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia" (Cass. pen. Sez. II, 24/09/1991).

Nello specifico, è stato ritenuto sussistente il reato di estorsione in capo all'amministratore di condominio: "per le modalità con cui si è richiesto il pagamento del credito e, inoltre, per la sproporzione della somma pretesa, pari a circa il doppio del valore del credito. Nella specie la minaccia, per come è stata ricostruita la vicenda, è consistita in un'apprezzabile pressione psichica esercitata abilmente dall'imputato che ha rappresentato alla vittima una serie di conseguenze negative in caso di mancato pagamento del credito vantato …. nella specie, la valenza intimidatoria della minaccia è costituita anche dalla rilevata sproporzione tra credito originario e somma pretesa, situazione che trasforma la richiesta di una prestazione in un risultato iniquo perché ampiamente esorbitante rispetto a quanto si sarebbe conseguito attraverso l'esercizio del diritto, che viene strumentalizzato per uno scopo contro ius" (Cass. pen. Sez. VI, 16/09/2010, n. 33741).

Ed ancora, la minaccia dell'amministratore di agire esecutivamente, in relazione ad un credito eccessivo, rispetto al reale: "integra gli estremi del reato di estorsione e non quello di truffa la minaccia di prospettare azioni giudiziarie - nella specie decreti ingiuntivi e pignoramenti - al fine di ottenere somme di denaro non dovute o manifestamente sproporzionate rispetto a quelle dovute, qualora l'agente ne sia consapevole, potendosi individuare il male ingiusto ai fini dell'integrazione del più grave delitto nella pretestuosità della richiesta" (Cass. pen. Sez. II, 29/11/2012, n. 48733).

Le conseguenze di ordine civile

Per come si evince dall'art. 1130 c.c., l'amministratore è l'organo di gestione e rappresentanza del condominio. La sua figura è riconducibile a quella del mandatario con rappresentanza, per come evincibile anche dal disposto dell'art. 1129 c.c. il quale, per tutto quanto non espressamente disciplinato rimanda, appunto, alle norme sul mandato (artt. 1703-1741).

Per quanto concerne le anticipazioni economiche dell'amministratore, tuttavia: "L'amministratore di condominio non ha - salvo quanto previsto dagli artt. 1130 e 1135 cod. civ. in tema di lavori urgenti - un generale potere di spesa, in quanto spetta all'assemblea condominiale il compito generale non solo di approvare il conto consuntivo, ma anche di valutare l'opportunità delle spese sostenute dall'amministratore; ne consegue che, in assenza di una deliberazione dell'assemblea, l'amministratore non può esigere il rimborso delle anticipazioni da lui sostenute, perché, pur essendo il rapporto tra l'amministratore ed i condomini inquadrabile nella figura del mandato, il principio dell'art. 1720 cod. civ. - secondo cui il mandante è tenuto a rimborsare le spese anticipate dal mandatario - deve essere coordinato con quelli in materia di condominio, secondo i quali il credito dell'amministratore non può considerarsi liquido né esigibile senza un preventivo controllo da parte dell'assemblea" (Cass. civ. Sez. II, 27/06/2011, n. 14197. Nello stesso senso: Cass. civ. Sez. II, 27/01/2012, n. 1224. Da Ultimo: Trib. Firenze Sez. II, 17/10/2014).

In altri termini, l'amministratore non può disporre a proprio piacimento degli esborsi di cui necessità il Condominio, in considerazione del fatto che lo stesso non ha un potere generalizzato di spesa, essendo detta facoltà demandata per legge all'assemblea condominiale, la quale ex art. 1135, nn. 2 e 3, c.c., provvede all'approvazione delle spese occorrenti durante l'anno e alla relativa ripartizione, nonché all'approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore e all'impiego del residuo attivo della gestione.

Salvo non venga dimostrata, da parte dell'amministratore, l'urgenza ed indifferibilità delle spese dallo stesso anticipate, ex art. 1135, II co., c.c.

Appare pleonastico, pertanto, ricordare come le singole partite di spesa devono essere sempre preventivamente approvate dall'assemblea, salvo i casi di urgenza, comunque anch'essi da dimostrare ovvero da ratificare da parte dell'assemblea; in mancanza, il credito non potrebbe essere considerato esigibile.

La giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, richiede infatti, la prova rigorosa delle anticipazioni effettuate dall'amministratore.

E' pur vero che l'approvazione del rendiconto ha valore di riconoscimento di debito, ma ciò solo per le poste passive specificamente indicate. Pertanto, non è sufficiente che il rendiconto di cassa presenti un disavanzo tra uscite ed entrate, atteso che non si può ritenere in via deduttiva che la differenza sia stata versata dall'amministratore utilizzando denaro proprio, ovvero che questi sia comunque creditore del condominio per l'importo corrispondente, atteso che la ricognizione di debito, sebbene possa essere manifestata anche in forma non espressa, richiede pur sempre un atto di volizione su di un oggetto specificamente sottoposto all'esame dell'organo collettivo, chiamato a pronunciarsi su di esso.

Ciò posto l'approvazione del rendiconto dell'amministratore recante un importo di spese superiore a quello dei contributi condominiali pagati dai condomini, può valere come riconoscimento di debito da parte di tutti i condomini in favore dell'amministratore, ma solo limitatamente alle poste a debito dei condomini che siano state indicate nel rendiconto con sufficiente specificità e chiarezza (Cass. 09/05/2011 n. 10153. Si confronti anche: Cass. 28/05/2012 n. 8498; Cass. 04/07/2014 n. 15401).

In assenza dei requisiti e delle specificità delineate dalla giurisprudenza di legittimità l'eventuale credito dell'amministratore, rinveniente dalle anticipazioni effettuate in favore del condominio, potrebbe non risultare esigibile.

A tanto va senz'altro aggiunto come, la sottoscrizione da parte del nuovo amministratore - all'atto della consegna della documentazione inerente la precedente amministrazione - del verbale di passaggio delle consegne ovvero l'apposizione sullo stesso di diciture del tipo "per accettazione" o "per ratifica" o, ancora, "per approvazione", non è sufficiente ad impegnare il condominio in merito al rimborso di somme anticipate dall'amministratore antecedente.

A tal proposito, infatti: "Il nuovo amministratore di un condominio, se non autorizzato dai partecipanti alla comunione, non ha il potere di approvare incassi e spese condominiali risultanti da prospetti sintetici consegnatigli dal precedente amministratore e, pertanto, l'accettazione di tali documenti non costituisce prova idonea del debito nei confronti di quest'ultimo da parte dei condomini per l'importo corrispondente al disavanzo tra le rispettive poste contabili, spettando, invece, all'assemblea dei condomini approvare il conto consuntivo, onde confrontarlo con il preventivo ovvero valutare l'opportunità delle spese affrontate d'iniziativa dell'amministratore. (La S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto che la sottoscrizione del verbale di consegna della documentazione, apposta dal nuovo amministratore quand'era già immesso nell'esercizio delle sue funzioni, non integrasse una ricognizione di debito fatta dal condominio in relazione alle anticipazioni di pagamenti ascritte al precedente amministratore e risultanti dalla situazione di cassa registrata)" (Cass. civ. Sez. II, 28/05/2012, n. 8498).

Una tale evenienza, ben potrebbe fondare un'opposizione all'eventuale decreto ingiuntivo, tanto è vero che: "In merito al decreto ingiuntivo con cui il Tribunale ingiungeva al Condominio il pagamento di una consistente somma di denaro in favore dell'ex amministratore, a titolo di anticipazioni fatte durante il periodo di sua gestione, merita accoglimento l'eccezione di nullità sollevata dal Condominio in sede di opposizione, per difetto dei presupposti. Nel caso di specie, difatti, il decreto veniva emesso sulla base del verbale di passaggio delle consegne dal precedente amministratore con in calce la firma "per accettazione", del nuovo amministratore e l'impegno a pagare la somma di cui il primo risultava creditore nel termine di venti giorni. Orbene, detta dichiarazione, non proveniente dal debitore, ma da un terzo, comporta la mancanza della prova scritta per la concessione del decreto ingiuntivo che potrebbe essere costituita anche dal documento in questione purché meritevole di fede quanto alla sua efficacia probatoria. Ne consegue che l'amministratore uscente, per munirsi di valida prova scritta, avrebbe dovuto presentare il rendiconto di gestione da sottoporre all'esame dell'assemblea dei condomini onde consentire a ciascuno di questi di esaminarlo" (Trib. Genova Sez. III, 08/02/2012)

Altra problematica posta sul tavolo delle anticipazioni da parte dell'amministratore, è quella relativa alla possibile provenienza del danaro utilizzato per i suddetti anticipi di cassa.

Ipotizzando per un attimo che, probabilmente, nessuno abbia voglia, men che meno, volontà, di assumere il rischio di anticipare proprio denaro in favore di terzi (specie quando non vi siano vincoli di profonda amicizia ovvero di parentela), spesso e volentieri, in passato, ma anche con l'attuale più stringente disciplina, l'amministratore potrebbe avere la tentazione di utilizzare somme di pertinenza di altri Condomini.

Questo fenomeno, era abbastanza diffuso e, probabilmente, lo è ancora, in quelle gestioni condominiali che facevano confluire tutti i versamenti dei condòmini, appartenenti a diversi stabili, in uno o più conti, magari intestati personalmente all'amministratore.

In disparte gli ulteriori possibili risvolti penali (appropriazione indebita) e quelli di eventuale elusione della normativa sull'anti riciclaggio (dal 2016 utilizzo del contante fino ad Euro 3.000 e tracciabilità per somme superiori), l'utilizzo di una cassa comune per più Condomini, senza dubbio ingenererebbe confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condomini, evenienza che comporterebbe seduta stante, la possibilità di revoca dell'amministratore stesso, anche da parte dell'autorità giudiziaria, sia pure su ricorso di un solo condomino, stante l'esplicito divieto imposto dall'art. 1129, XII co., n. 4, c.c.

Peraltro, una tale gestione del patrimonio di più Condomini, potrebbe legittimare ulteriori abusi quale quello delle anticipazioni inesistenti.

In realtà, potrebbe bastare la "compiacenza" di qualche fornitore ovvero di qualche prestatore d'opera, per creare surrettiziamente delle fatture di consegna beni ovvero di manodopera, in favore di questo o quel Condominio, i cui pagamenti potrebbero risultare formalmente anticipati dall'amministratore, personalmente, e in contanti.

Apparentemente la procedura di anticipazione potrebbe sembrare corretta, tuttavia, le merci ovvero le lavorazioni potrebbero non essere state mai effettuate.

A tal proposito, il consiglio che si può dare ai condòmini, è quello di pretendere che tutti i pagamenti avvengano con bonifico o assegno bancario, nonché quello di presenziare personalmente alla consegna della merce ovvero all'esecuzione dei lavori.

Inoltre, occorrerebbe chiedere espressamente all'amministratore di farsi indicare dal fornitore, in fattura, il codice identificativo delle merci ovvero il codice a barre o la matricola delle stesse, con la relativa bolla di consegna.

Al pari, per quanto concerne le lavorazioni, bisognerebbe pretendere l'elenco dettagliato delle opere eseguite e del materiale impiegato.

Da ultimo, effettuare un rigoroso controllo dei documenti contabili che, per legge, l'amministratore è tenuto ad aggiornare e conservare, nonché nominare un consiglio di condominio, con funzioni di controllo ovvero un revisore contabile (art. 1130-bis, I e II comma, c.c.).

Ed invero, ai sensi dell'art. 1130, n. 7, c.c., l'amministratore è tenuto a predisporre un registro di contabilità, nel quale deve annotare: "in ordine cronologico, entro trenta giorni da quello dell'effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed in uscita", nonché predisporre, ai sensi dell'art. 1130-bis c.c., il rendiconto condominiale contenente "le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve, che devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica. Si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti. L'assemblea condominiale può, in qualsiasi momento o per più annualità specificamente identificate, nominare un revisore che verifichi la contabilità del condominio".

In caso di dubbi, sarebbe infine altamente consigliabile per i singoli condòmini, in primo luogo di evitare di rilasciare deleghe in bianco, anche al fine di evitare sgradevoli sorprese, quali inesistenti ovvero sproporzionate anticipazioni di cassa da parte dell'amministratore e, nella peggiore delle ipotesi, non approvare il rendiconto. 

Paolo AccotiAvv. Paolo Accoti - profilo e articoli
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