La necessità di comprare alimenti per la propria sopravvivenza non vale infatti a scagionare il soggetto dal reato

di Marina Crisafi - Chi è agli arresti domiciliari non può allontanarsi dall'abitazione senza l'autorizzazione del giudice per nessun motivo, neanche se sta morendo di fame e non ha nulla da mangiare né se non ha nessuno che può comprare da mangiare al posto suo. Lo ha stabilito la Corte d'Appello di Taranto, con la recente sentenza n. 478/2015 (qui sotto allegata) confermando la condanna per il reato di cui all'art. 385 c.p. nei confronti di un uomo agli arresti domiciliari, "beccato" in flagranza dai carabinieri sopraggiunti per il consueto controllo con due buste di generi alimentari in mano.

A nulla sono valsi i tentativi della difesa di ottenere l'assoluzione, in quanto l'uomo si sarebbe allontanato dal domicilio soltanto perché spinto dai morsi della fame, versando quindi in uno stato di necessità dovuto al fatto di vivere da solo e di non aver avuto nessuno che potesse provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita.

Per i giudici la condotta dell'imputato è indubbiamente idonea ad integrare il delitto di evasione. La ratio della norma incriminatrice, ha affermato infatti il magistrato tarantino, è da un lato quella di "impedire che il detenuto esprima la propria pericolosità al di fuori del luogo di detenzione e, dall'altro - quella di - garantire il rispetto del provvedimento adottato dall'autorità giudiziaria e consentire un agevole controllo alle autorità di polizia". Conseguentemente, "anche un allontanamento temporaneo, senza permesso, dal luogo di arresto, integra gli estremi del reato, poiché il termine allontanarsi va letto nel più ampio contesto dell'economia cui la norma corrisponde" (cfr., tra le altre, Cass. Sez. VI, 22.7.1995 n. 8248,).

Del tutto destituita di fondamento è, inoltre, si legge nella sentenza, "la farraginosa tesi difensiva secondo la quale - l'imputato - si sarebbe risolto, dopo 18 giorni di 'cattività', ad uscire di casa al solo impellente scopo di fare la spesa essendo ridotto alla fame, sì da versare in stato di necessità". L'uomo infatti aveva certamente avuto contatti con il proprio difensore e anche con le forze dell'ordine, per cui ove realmente fosse stato ridotto "alla fame" avrebbe potuto chiedere aiuto senza essere costretto ad allontanarsi dal domicilio senza autorizzazione.

Senza contare che, anche ammettendo per un attimo che l'evasione fosse stata cagionata dalla necessità di salvarsi da un grave danno alla salute, prosegue la sentenza, l'imputato "si era posto volontariamente nella condizione di pericolo, trovandosi ristretto agli arresti domiciliari per un fatto reato da lui commesso e che, in sede di interrogatorio di garanzia o nel richiedere di essere sottoposto alla misura domiciliare, si era ben guardato dal fare presente al giudice di non essere in grado di provvedere al proprio sostentamento in quanto abitava da solo temendo, con ogni probabilità, che ciò risultasse preclusivo per beneficiare della misura attenuata".

Ciò, dunque, esclude in radice la possibilità di invocare la scriminante dello stato di necessità. Né giocano, certamente, in favore dell'uomo gli innumerevoli precedenti penali, tra cui ben sette condanne proprio per evasione. Per cui la condanna va confermata in toto.

Corte d'Appello di Taranto, sentenza n. 478/2015

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